Terapia intensiva 95% è no vax, tasso di decesso è 9 volte più alto

Nelle terapie intensive italiana la maggioranza dei ricoverati, “il 95%”, non è vaccinato. Ma “la novità, ora, è che stanno cominciando a crescere i vaccinati fragili, che si sono immunizzati all’inizio della campagna vaccinale, in cui è presumibile un calo della protezione anticorpale”. E che sono messi a rischio “dalla circolazione del virus favorita da quanti non si sono sottoposti al vaccino”. A tracciare il quadro è Antonino Giarratano, neo presidente della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti).

“Fino a poche settimane fa – spiega ancora Giarratano – nei nostri reparti erano quasi tutti non vaccinati, con un 5% di vaccinati fragili. Nelle ultime due settimane, in diverse aree del Paese, dai dati del nostro sistema di monitoraggio Siaarti, crescono i fragili vaccinati, con differenze regionali che vanno dal 5 al 15%. E cominciamo a vedere anche ‘fragili meno fragili’, ovvero non più il diabetico, scompensato, con problemi polmonari e grande anziano, il cui equilibrio è particolarmente precario. Adesso vediamo anche pazienti che non hanno patologie concomitanti gravi in senso stretto, parliamo dei grandi obesi oppure gravi ipertesi, con un’età dai 48 ai 59 anni. Pazienti che hanno una sola di queste problematiche”.

Per evitare che le persone vulnerabili, nonostante la doppia vaccinazione, vadano incontro a ricoveri, spiega Giarratano, è necessario “vaccinare una percentuale superiore al 90% della popolazione. E serve farlo su due fronti: con la prima dose, a chi non si è mai vaccinato per evitare la circolazione del virus, e con la terza dose per i fragili, anche con una sola patologia a rischio, che hanno fatto la vaccinazione 9-10 mesi fa, in modo da aumentare la capacità di riposta immunitaria ed evitare che arrivino nelle nostre terapie intensive come sta accadendo”.

Il tasso di decesso nei non vaccinati è circa 9 volte più alto rispetto ai vaccinati con ciclo completo entro sei mesi e sei volte più alto rispetto ai vaccinati con ciclo completo da oltre sei mesi.