Veroli, ecco tutta la storia della statua della Beata Maria Fortunata

di Giuseppe Belli*

Davanti al Palazzo dell’episcopio della città di Veroli, nella graziosa piazzetta animata dallo zampillio d’acqua della fontana realizzata con l’antico catino del fonte battesimale (in uso nella cattedrale di S. Andrea apostolo fino al 1349), si innalza il monumento marmoreo della Beata Maria Fortunata Viti. Nella base esagonale che regge la statua si trova scolpita la seguente iscrizione: ALLA BEATA / M. FORTUNATA / VITI / LA CITTÀ DI / VEROLI /8 OTTOBRE 1972. Il monumento è opera dell’artista Tommaso Gismondi di Anagni (1906-2002), noto per aver realizzato le sculture di due papi, Paolo VI e Giovanni Paolo II; le porte della Biblioteca e dell’Archivio Segreto Vaticano; la cattedra bronzea di papa Woytila; la Via Crucis della basilica di San Pietro. Era il 1972, il cinquantesimo della salita al cielo di suor Maria Fortunata e il quinto anniversario della sua beatificazione avvenuta nella basilica di San Pietro. Così l’8 ottobre, alla presenza di mons. Agostino Mayer, segretario della Sacra Congregazione per i religiosi, il vescovo di Veroli mons. Giuseppe Marafini inaugurò il monumento che lui stesso aveva desiderato fortemente, affinché richiamasse l’attenzione del passante o del turista occasionale in città, per conoscere l’umile monaca benedettina che fece la scelta di cercare il volto di Dio e di santificare la sua vita nel monastero di S. Maria dei Franconi. La statua della Beata di Tommaso Gismondi guarda verso il monastero di S. Maria dei Franconi che, dalla piazzetta dell’episcopio, si può in parte scorgere rivolgendo lo sguardo sul vicolo che porta il nome di via Franco dei Franconi. Una collocazione, questa, come si può ben comprende, non casuale. La Beata osserva il claustro, dove visse per ben 72 anni, come segno di gratitudine, perché qui trovò l’opportunità di intraprendere la scalata alla santità, seguendo scrupolosamente la Regola di S. Benedetto. La statua della Viti esprime egregiamente tutto l’atteggiamento che la monaca benedettina ebbe in vita: quello di una donna la cui interiorità era caratterizzata dal desiderio, sempre ardente, di vivere l’intima comunione con il Signore, di cui ammirava la grandezza e l’amore. Da qui la significativa espressione Potenza e Carità di Dio. All’informe blocco marmoreo Gismondi ha voluto dare una forma quasi cilindrica come quella che ha una candela. Il corpo della religiosa è slanciato e armoniosamente contenuto dentro le pieghe dell’abito monastico, le mani stringono al petto il libro della Regola sul quale è scolpito il motto Ora et Labora e il volto manifesta tutta la purezza angelica della Viti. Sì, Maria Fortunata Viti,  n vita, è stata come una candela accesa dell’amore per Dio e per il prossimo. E così la Beata sta continuando a fare in Paradiso, come lei stessa aveva promesso. 

*Docente del Liceo Scientifico “G. Sulpicio” di Veroli