Scazzottata al derby Veroli-Frosinone, la storica cavalcata fino alla Serie A e il basket nel cuore

«Il mio primo campo di gioco fu nei pressi della vecchia fabbrica “Mazzoleni”, ci allenavamo colpendo con il pallone la cima di un palo». Inizia così il racconto dell’ex dirigente giallorosso, Roberto Passeri che nell’intervista si sofferma sul legame indissolubile tra Veroli e la pallacanestro.

Cosa rappresenta il basket a Veroli?
«E’ stata sempre una splendida realtà e speriamo che lo sia ancora. Ha rappresentato un orgoglio sportivo per Veroli, con tante soddisfazioni per i risultati raggiunti nel tempo. Ma non è stato solo uno spettacolo sportivo di livello nazionale, ma anche impegno per molti ragazzi, tantissimi del nostro comune e non solo, a praticare uno sport, che ha aiutato il loro sviluppo fisico, ma ha favorito anche la crescita sociale, fatta di buone relazioni, di rispetto e serena occupazione del tempo libero». 

Roberto Passeri

Il ricordo più bello?
«Risale a quando, all’età di 16 anni, ho iniziato a praticare la pallacanestro con Giovanni Coccia. Ho disputato tre campionati di serie D, con i fratelli Simoncelli, Giancarlo Fiorini, Ferruccio Lauroni, Cesare Stirpe ed altri; ma, poi, con il passar degli anni ho capito che non avevo l’altezza giusta per questo sport e mi sono dedicato al calcio. Non mi sono, comunque, allontanato dal basket, che ho sempre seguito; infatti, quando eravamo in B2 e B1 ho fatto parte del direttivo della Società; curavo il Minibasket e i rapporti con la Solac, nostro sponsor, i cui prodotti si offrivano gratuitamente agli spettatori della partita, che si giocava in casa». 

Un aneddoto che non si conosce?
«Circa 60 anni fa, davanti alla vecchia fabbrica “Mazzoleni” noi ragazzi ci allenavamo colpendo con il pallone la cima di un palo che il coach Giovanni Coccia reggeva». 

Il quintetto ideale dalla nascita del basket a Veroli alla serie A?
«Ritengo il più forte quintetto quello con il quale siamo andati a Varese per disputare la partita più importante per andare in A1, ma, purtroppo, non ha potuto giocare il play Dawan Robinson per indisposizione, con il quale già avevamo superato il Varese in casa e in Coppa Italia». 

Quanto mancano le domeniche al Palazzetto e quanto le piace il nuovo?
«Le domeniche al Palazzetto erano diventate un momento di aggregazione importante e di coagulazione della cittadinanza verolana, che esultava, trepidava e viveva momenti di gioia e, a volte, di delusione come sportivi e come comunità. Mi piace molto il nuovo Palazzetto ma, per adesso, purtroppo rappresenta una “Cattedrale nel deserto”; comunque sono fiducioso che pian piano, essendo questo sport presente nel nostro DNA, si ricrei quel movimento sportivo, che riporti al passato splendore la futura squadra del “Veroli Basket”, ammirata e seguita con interesse da tutta la provincia». 

Un episodio particolare avvenuto nella vecchia palestra di San Martino? 
«Ricordo, da bambino, una partita di basket, disputata alla palestra comunale quando ancora il terreno di gioco era in terra battuta, contro il Frosinone, terminata con una sonora scazzottata, nella quale si misero in evidenza il nostro Giulietto Magnante e un signore di Veroli, chiamato “Pecetta”». 

L’allenatore che più ha lasciato il segno?
«Penso che si sono avvicendati tanti bravi allenatori ognuno con i suoi pregi e difetti, ma quello che io ritengo fondamentale è Giovanni Coccia, che ha riportato e fatto amare nuovamente la pallacanestro a Veroli dopo anni bui».