Leoni da tastiera e odiatori si scatenano sul web, ecco come catturarli

di Ilaria Passeri

Ormai, la parola “hater”, che letteralmente significa “odiatore”, è entrata a far parte del linguaggio comune. 

Con questo termine si suole alludere a quel soggetto che, dando libero sfogo ai propri istinti primordiali, utilizza le piattaforme digitali per insultare, calunniare, schernire e denigrare gratuitamente chiunque gli capiti a tiro.

L’”Internet hater”, come lo definiscono gli esperti, si avvale impropriamente della libertà di espressione, per comprimere, con rabbia e violenza, quella degli altri.

Di regola, l’hater si cela vigliaccamente dietro un falso profilo, mosso dall’illusione di non essere smascherato; ma, capita sovente di incontrare anche l’”odiatore reale”, cioè colui che, come si dice “ci mette la faccia”. 

In entrambi i casi, ci troviamo di fronte ad individui con evidenti disturbi socio-relazionali, che impiegano il proprio tempo per distruggere verbalmente l’immagine delle vittime prescelte. 

Per loro, lo schermo è una protezione, e la tastiera un’arma da tiro ad alta precisione. 

Scelgono i propri bersagli restando comodamente seduti sulla poltrona di casa e, dopo aver correttamente posizionato il mirino, colpiscono, intavolando guerre virtuali (di carattere unilaterale) con il malcapitato di turno. 

Il punto è che, questi “leoni da tastiera”, oltre a non aver consapevolezza della propria personale problematica, spesso, sembra che non si rendano conto delle conseguenze delle azioni compiute.

È bene, allora, far luce sui risvolti legali legati alle condotte che costoro pongono in essere.

Il codice penale non fa sconti e, pur non prevedendo lo specifico reato di “hating”, contempla diverse fattispecie di reato suscettibili di applicazione estensiva alle condotte tipiche degli “odiatori del web”.

Sarà, dunque, configurabile il reato di diffamazione (aggravata dalla diffusione per mezzo di Internet), previsto dall’art.595 del c.p., nel caso in cui con le parole si offenda l’altrui reputazione.  

In altri casi, ovviamente in base agli elementi della condotta posta in essere, potranno essere ravvisati gli estremi del reato di minaccia, ex art. 612 c.p., oppure di molestie, ex art. 660 c.p..

Qualora, poi, gli attacchi verbali, pur se di lieve entità, si dovessero protrarre, con modalità costante e prolungata, si potrebbe perfino pervenire ad una denuncia per stalking, ex art. 612bis c.p., anche definito dalla giurisprudenza di legittimità “cyberstalking”.

Non dimentichiamo, infine, che, nel nostro ordinamento, grazie alla Legge Mancino n.205/1993, è stata regolamentata la disciplina repressiva dei c.d. “crimini d’odio”; quei crimini che concernono l’incitazione all’odio, alla violenza e alla discriminazione.

Insomma, l’”Internet hater” è erroneamente convinto di nascondersi dal sistema; ma, la rete, in cui sa destreggiarsi con disinvoltura, può catturarlo da un momento all’altro.