È morto Roberto Cavalli

È morto oggi a Firenze Roberto Cavalli. Aveva 83 anni. Ed era malato da tempo. Con lui, sempre al suo fianco, la compagna degli ultimi 15 anni, Sandra Bergman Nilsonn, dalla quale ha avuto un bambino, Giorgio, due anni fa. Il sesto figlio dopo Tommaso e Cristiana, nati dal suo primo matrimonio con Silvanella Giannoni, e Robert, Rachele e Daniele, avuti dalle seconde nozze con Eva Duringer, che è stata anche suo braccio destro nell’avventura della moda, cominciata negli anni Settanta e finita con la vendita del suo marchio nel 2015, quasi subito dopo l’ultimo show di settembre di quell’anno. Cavalli era nato Firenze il 15 novembre del 1940. Rimase orfano da bambino: il padre fu ucciso per un rastrellamento dei nazisti, nella piazza di Castel Nuovo Sabbioni (Arezzo). Quelle immagini – il ricordo della mattina in cui lo portarono via, la disperazione e il dolore – lo segneranno per sempre: sino a 20 anni balbettò ed ebbe molte difficoltà di concentrazione, ma riuscì a diplomarsi all’Accademia di Firenze, tanta e tale era la sua passione per l’arte prima, poi la fotografia e infine la moda. Negli Anni Settanta brevettò un procedimento di stampa su pelle e cominciò a creare patchwork di materiali e colori. Nel 1970 presentò al Salone del pret-à-porter di Parigi la sua prima collezione. Aprì un negozietto a Saint-Tropez di jeans usati e rimaneggiati alla sua maniera, dove entravano Brigitte Bardot e Mick Jagger: un successo. Seguirono bassi, alti, ancora bassi. Lui era così: senza una via di mezzo. Sino a quella decisione, con l’allora moglie Eva Duringer, austriaca, conosciuta a una finale di Miss Universo, di rimettersi in gioco investendo, a mo’ di roulette, in immagine e comunicazione. Leggendaria in quegli anni una cena «ristretta» con alcune amiche giornaliste di moda, al Ritz di Parigi, in cui chiese un parere: «Cosa faccio? Chiudo tutto e mi godo quello che ho? O investo ancora in immagine e ci riprovo? ». Un coro si alzò. «Hai fatto tanto, Roberto: riprova». Fu il successo, quello vero e grande: nella seconda metà degli Anni Novanta, arrivò ad essere distribuito in 36 Paesi. Le sue stampe animalier, i broccati, gli intarsi di pelle diventarono uno stile subito riconoscibile. Gli abiti print leopardo o zebra o tigri divennero la sua firma: chiffon e seta, trasparenze e sensualità all’ennesima potenza. Lui stesso, nell’ultima intervista, raccontò che era proprio uno di quelli il suo preferito, quello della vita: «Un abito con la testa di tigre che feci indossare a Cindy Crawford che scese da Trinità di Monti, in piazza di Spagna, era bellissimo e mi rappresentava. Perché parlava di natura come le foto dei miei fiori e dei miei animali. Che poi tanti hanno copiato. Ma a me è bastato essere stato il primo». Cindy ma anche Charlize Theron, Sharon Stone, Naomi Campbell, Jennifer Lopez e tutte le donne più belle dell’universo mondo. corriere.it