Zuckerberg decide chi può parlare e chi deve tacere, è uno scandalo
di Lucia De Carolis
“Il tutto è maggiore della somma delle sue parti”.
Così Platone nel “Eutifrone”: [Socrate] “Non ti chiedevo di farmi conoscere una o due delle molte azioni sante, ma di farmi conoscere proprio quella forma per cui tutte le azioni sante sono sante […]”
Platone vuole condurci alla definizione universale di santità, non incarnata in una singola particolarità: ogni uomo è chiamato a fare della sua particolare condizione, intrisa di sentimenti bisogni passioni credenze o tendenze, un universale. La “Giustizia” è un universale, che attende di essere “incarnata” nella molteplicità dei particolari, ma solo dopo aver compreso cosa sia il suo valore universale.
Ciò che è accaduto, al di là delle simpatie o antipatie che si possano provare per Donald Trump, deve gridare allo scandalo!
Imprenditori privati, i padroni delle reti, non possono decidere cosa e chi possa parlare, è il sintomo di una grave malattia in cui versa il sistema democratico occidentale. Gioire perché ad essere stato colpito è Trump significa ammettere che domani può essere la nostra parte ad essere dalla stessa arma ammutolita. Chi lo decide? Zuckerberg.
La democrazia è nel Parlamento, non nei social, ma la politica da un po’ di anni ha abbandonato le sedi istituzionali per dedicarsi ai “Like”, e questo è il risultato: siamo di fronte a un vuoto di potere che spaventa!
L’Occidente deve con urgenza sedersi a un tavolo e, di comune accordo, deliberare per un’autorità terza, la cui competenza valga almeno per tutti gli Stati che si proclamano “democratici” -sempre che il termine “democrazia” non si sia svuotato di significato-, in grado di indicare a Zuckerberg, o chi per lui, cosa può essere proclamato sui social e cosa non può essere detto perché pericoloso per l’unità della popolazione e la pace nel mondo.
In quanto a noi, spettatori della macabra rappresentazione, “tiriamoci fuori”, alimentiamo la capacità di prendere le distanze dalle nostre convinzioni e guardiamo gli eventi dall’alto per avere una visione del tutto.
Così come riesce il caffettiere filosofo di Gioacchino Belli:
“L’ommini de sto monno sò ll’istesso Gli uomini di questo mondo sono lo stesso
Che vvaghi de caffè nner mascinino: che chicchi di caffè nel macinino:
C’uno prima, uno doppo, che uno prima, uno dopo,
e un antro appresso, e l’altro appresso,
Tutti cuanti però vvanno a un distino. tutti quanti però vanno a un destino.
Spesso muteno sito, e ccaccia spesso Spesso mutano sito e scaccia spesso
Er vago grosso er vago piccinino, il chicco grosso quello piccolino,
E ss’incarzeno, tutti in zu l’ingresso e s’ingorgano tutti sull’ingresso
Der ferro che li sfraggne in porverino. del ferro che li frulla fino, fino.
E ll’ommini accusì vviveno ar monno E gli uomini così vivono al mondo
Misticati pe mmano de la sorte mescolati per mano della sorte
Che sse li ggira tutti in tonno in tonno; che se li gira tutti in tondo in tondo.
E mmovennose oggnuno, o ppiano, o fforte, E movendosi ognuno, o piano, o forte,
Senza capillo mai caleno a ffonno Senza capirlo mai calano a fondo
Pe ccascà nne la gola de la morte”. Per cascare nella gola della morte.
Usciamo dal macinino per non finire tutti irrimediabilmente ridotti in cenere.