Veroli, povera donna abortisce ma non era colpa del medico

Alfredo Gabriele

di Alfredo Gabriele

La città di Veroli non lo dimenticò ed il suo nome si legge infatti, insieme a quello di un altro suo collega, su di una lapide affissa all’interno del Palazzo comunale.

Ricordiamo di lui quello che gli accadde in vita, quando, andando oltre le debite prestazioni professionali, volle andare oltre per sostenere ed assistere la popolazione residente.

Chiese ed ottenne dall’amministrazione dell’Ospedale della Passione di Veroli di poter utilizzare un locale disadorno ed abbandonato, quale era allora la vecchia chiesetta di S. Pietro in Largo Catena: in questo locale volle realizzare un Dispensario gratuito farmaceutico per tutti i poveri.

La sua attività benefica fu presto ben nota, anche al di là dei confini del territorio comunale, ed un giorno vi arrivò una povera donna dalla lontana Arce, con problemi causati da imprecisati disturbi del ciclo.

Questa donna fece ritorno al suo paese con le necessarie prescrizioni di farmaci, forse anche distribuiti gratuitamente dal dottor Forti. Però dopo pochi giorni questa donna ebbe un aborto o parto prematura con nascita di un feto subito morto e con segni di gravi malformazioni o mostruosità.

La notizia si diffuse per Arce e le solite “comari” diffusero la notizia del suo recente viaggio alla volta di Veroli dove un medico le avrebbe somministrato farmaci per abortire. Le immediate indagini dei Carabinieri e del Pretore di Arce portarono ad un provvedimento restrittivo per il dottor Forti a Veroli. Egli fu arrestato, condotto ad Arce ed infine al carcere di Cassino.

Tutto questo accadde mentre a Veroli nulla si sapeva dell’accaduto e la popolazione aveva assistito sconcertata all’evento senza conoscere le motivazioni. Dopo l’arresto del chirurgo Forti la popolazione di Veroli si trovò sprovvista di un’assistenza di assistenza e lo stesso sindaco Campanari denunciò gli inconvenienti, uno dei quali luttuosissimo, per la perdita di una madre di famiglia. “Fu spedito a chiamare altro chirurgo in altra città vicina, ma giunse tardi, e la donna dové spirare lasciando orfana numerosa prole”.

Personalmente il dottor Forti soffrì molto su quanto gli era accaduto e si recò personalmente presso il Ministro di Grazia e Giustizia, per ottenere un risarcimento morale del danno subito. Non ne fu tanto soddisfatto e riuscì dopo a far pronunciare un discorso-interpellanza nella Camera dei Deputati pronunciato dall’onorevoli Indelli, il giovedì del 28 maggio 1885.

Dall’interpellanza si viene a sapere che, dopo gli interrogatori e le perizie, il dottor Forti fu scagionato da ogni responsabilità personale e tornò a Veroli; ma questo non lo lasciò soddisfatto. Nella conclusione della stessa interpellanza l’onorevole Indelli chiese al Ministro di Grazia e Giustizia: “Credete voi che questi giudici e questi procedimenti possano essere tollerati?”.

L’onorevole Pessina ministro di Grazia e Giustizia rispose deplorando il mandato di cattura emesso ai danni del dottor Forti “per imputazione di aver cooperato ad un procurato aborto”. Aggiunse che lui era stato scagionato da ogni colpa o reato e la vicenda si era conclusa con la dichiarazione finale dell’insussistenza del reato di aborto procurato.

E concluse affermando che lui nella veste di Ministro di Grazia e Giustizia non poteva interferire con atti di censura sull’autorità istruttoria, augurava che in futuro si usasse maggiore prudenza in casi simili, quando indizi non gravi di reità riguardano persone che hanno “una posizione eminente per coltura ed hanno una reputazione stabilita di probità professionale”.

La dolorosa vicenda giudiziaria si aggiunse, nella vita del dottore Forti, all’altro dolore familiare di pochi anni prima: quando, nel 1879, gli venne a mancare una figlia appena adolescente, forse per difterite. Per costei volle lasciare per i posteri una piccola tomba, addossata al muro interno di cinta del vecchio Cimitero verolano; ricordando che la piccola Maria era morta lasciando la famiglia “in tanta desolazione”.