Veroli, la ciambella patrimonio dell’umanità

di Ilaria Passeri

A Veroli, piccolo borgo medievale incastonato nel cuore della Ciociaria, si conserva e preserva da generazioni la ricetta di una gustosa specialità culinaria: la ciambella.

Una prelibatezza di forma ovale, intrecciata su se stessa, impastata e sfornata quotidianamente dalle mani esperte di artigiani del luogo. La sua composizione è frutto di un connubio perfetto di farina, acqua, sale, lievito di birra e semi di anice.

Per gli abitanti del paese la ciambella, oltre ad essere un simbolo di appartenenza, rappresenta un veicolo di ricordi di un’epoca ormai lontana. È tanto grande la nostalgia che si prova nel ricordare quel tempo in cui, lungo i vicoli che dal rione di Santa Croce salgono verso San Paolo, si udivano, alle prime luci dell’alba, le voci delle ciambellaie. Era quello il preludio di un nuovo giorno, fatto di ciambelle da impastare, condire con l’anice e sfornare.

Quelle donnine, seppur scavate in volto dalla fatica, poggiavano sul loro capo grosse canestre piene del loro sudore e si avviano felici verso i mercati della provincia. Se capitava di incrociarle, si doveva far attenzione a non urtarle. Il peso sostenuto era consistente e spesso le faceva barcollare; una caduta e tutto il loro duro lavoro sarebbe andato in frantumi.

Oggi purtroppo le cose sono un po’ cambiate. I vicoli si sono spopolati e hanno perso l’aroma di lievito ed anice che un tempo li pervadeva. Il vivace chiacchiericcio che accompagnava il solenne passaggio delle ciambellaie si è sopito. Solo i sanpietrini, battuti più e più volte da queste instancabili donne, ne conservano intatto il ricordo.

A Veroli comunque ci sono ancora piccoli artigiani e alcuni medio-grandi laboratori di produzione che da ammirevoli paladini della tradizione, continuano a sfornare buonissime ciambelle. Non sarà più la fiaba artigiana di una volta, ma quel che più conta è che si continui a tenere viva la memoria di questo prodotto tipico, in un luogo sospeso nel tempo, tra passato e presente. E allora, se vi capita di passare da quelle parti, oltre a visitare le tante bellezze del paese, non dimenticate di assaggiare la ciambella, possibilmente calda e ben cotta!

Vi lascio con il ricordo di mia nonna, una “ciammellara” d’altri tempi. Si chiamava Iole e tutti i giorni si alzava alle 2:30 del mattino per confezionare i suoi “gioielli di farina e anice”. Il suo volto era profondamente segnato dal sacrificio ma le bastava poco per sciogliersi in un tenero sorriso.