Veroli, il paese scelto dagli ebrei fiumi di denaro tra i vicoli e una sinagoga in pieno centro

In occasione del 78esimo anniversario del vile rastrellamento degli ebrei nel ghetto di Roma è opportuno rammentare l’importante presenza ebraica a Veroli, paese che in Ciociaria già nel XV secolo contava il maggior numero di giudei e addirittura una sinagoga nel centro storico. Quando la cittadina ernica era viva e ricca.

Il ricordo della permanenza a Veroli è rimasto nel cognome “Di Veroli” adottato da svariate famiglie ebraiche romane. Magari quest’ultime tornassero con le loro abilità imprenditoriali a ripopolare un paese quasi interamente disabitato.

La prima attestazione di una presenza ebraica a Veroli è del 1461, quando Moise Angelelli e Gentilisca da Veroli e Mele Gayeli da Gennazano furono accusati di aver procurato i servizi di un assassino. Moise fu assolto e Mele fu multato. Al 1472 risale un documento attestante un nucleo ebraico a Veroli, quando venivano registrate qui quattro case.

Un altro cenno alla presenza ebraica si ritrova, poco meno di una decina d’anni più tardi, quando Shabbetay di Mordekhay da Sulmona portava a termine nella località un manoscritto.

Nel XVI secolo, gli Statuti cittadini si diffondevano sulle norme da tenersi nei confronti degli ebrei: nel terzo Libro si proibiva di mangiare in loro compagnia e di far macellare le loro carni nei mattatoi cristiani o vendervi le carni mattate dagli ebrei. Inoltre, all’articolo 76 del quinto Libro si specificava che se uno riconosce qualunque oggetto tenuto in pegno presso i Giudei, questi sono tenuti, se interrogati, a dire il nome di chi lo ha dato in pegno o colui che lo ha riconosciuto, altrimenti l’oggetto è ritenuto come rubato ed il Giudeo incorre nella pena come se lo avesse rubato. All’articolo 79 dello stesso Libro si stabiliva, poi, che per togliere l’ingiustizia degli ebrei, i termini a qualunque titolo concessi ai cristiani, sia in giudizio che fuori, stabiliti o da stabilirsi, per qualsiasi titolo, forma, modo, sono vantati sia per prestito di danaro che per qualsiasi altro motivo, non valgono se non per soli quattro anni. Infine, all’articolo 86 si leggeva: poiché i giudei sogliono comprare dai cristiani vino nuovo e mosto, sogliono pigiare a spremere le uve di cui parte del vino va ai Cristiani, può accadere che dal vino toccato e spremuto dai giudei si consacri dolosamente e disonestamente il sangue di Dio. Perciò per opporci a tali fatti ogni cittadino che venda ai giudei il vino o l’uva da loro pigiata, non può riporne alcunché, né può venderlo o scambiarlo con nessun cristiano. Deve invece venderlo tutto agli stessi giudei, i quali devono tutto comprarlo.

Negli ultimi decenni prima dell’espulsione dallo Stato della Chiesa (1569) abitavano a Veroli alcuni ebrei, menzionati come contribuenti di diverse tasse, tra cui la vigesima. Alcuni furono prestatori, come per esempio i soci Emanuello di Guillelmo e Helia de Latis nel 1549 ed Emanuele di Gentilomo e Maestro Angelo, un medico, nel 1554.

Nell’elenco delle sinagoghe che, dal 1560 sino alla Bolla di espulsione del 1569, corrispondevano la tassa alla Casa dei Catecumeni di Roma, figurava quella di Veroli, prima con 10 e poi con 12 scudi: secondo una fonte dell’inizio del Novecento, la sinagoga sarebbe stata collocata in Contrada Selle. Come riportato anche nel libro di M. Stirpe “Una sinagoga a Veroli”. Infine nel 1588, in seguito alla Bolla di Sisto V, veniva fatta a Moise del fu Isacco una concessione per un banco feneratizio.

Redazione Veroli