Veroli, Aonio Paleario acerrimo nemico delle balie

di Alfredo Gabriele

In un Trattatello in lingua volgare, scritto quando era ormai per sempre lontano da Veroli, Aonio Paleario affrontò, anche se pure brevemente, il tema dell’allattamento mercenario dei figli affidati alle balie.

In una conversazione tra gentildonne di Siena egli fa svolgere un dibattito immaginario e fa ripetere le già note argomentazioni del tempo, contrarie al costume dilagante dell’affidamento dei neonati alle balie, vera moda dettata da pigrizia o da pretesa conservazione di un bel corpo dopo il parto.

Citiamo qui per caso che anche Luigi Tansillo, poeta al seguito del Duca d’Alba, fu dalle nostre parti e scrisse un poemetto sullo stesso tema dal titolo “La Balia”: si era nel 1556 quando Veroli fu assediata e minacciata di sterminio. Egli in una nota del poemetto ricordava che anche nell’antica Roma l’oratore Quintiliano, per la formazione di un buon Oratore, raccomandava la scelta di una buona Balia. Nei casi di necessità comunque si doveva ricercare una buona balia ed in queste circostanze anche il verolano Aonio Paleario si occupò dell’argomento nel citato Trattatello.

Egli fa dire in proposito alle gentildonne di Siena che occorreva mettere da parte certi timori ed inutili gelosie quando una bella Balia entra nelle mura domestiche per allattare un neonato: “può assai nel mondo la mala usanza e perché troppo sospettose siamo, spiacevole e noiosa cosa ci pare in casa ricevere a tal mestiere donne che leggiadrette alquanto e giovani siano: peccano in questo grandemente, perciocché vinte da così fatta sospezione, non attendiamo alle bisogne dei nostri figlioli, che più cari debbiamo avere che qualsivoglia altra cosaNon sappiamo noi, non ci è da savi medici e valenti uomini tutto insegnato, che il sangue della giovane è puro e buono, di quella, le cui carne morbidette, chiare e vermiglie sieno? Non ci è detto da loro che da queste così fatte debbiamo far trarre gli alimenti, lo spirito, l’anima a colui, che tanto abbiamo desiderato, a colui che molti mesi con grandissima fatica nel ventre portato abbiamo?” 

E dopo aver ricordato le sofferenze della gravidanza e del parto raccomanda di non affidare il desiderato figlio a qualche balia che già mostra nel brutto viso i suoi pessimi costumi: “ci lasciamo accecare dalla gelosia, così fuor d’ogni convenevolezza dalla sospezione trasportare ci lasciamo. Tolgasi per Dio questo vituperio da noi, o altrimenti facciamo, o noi medesime non ci vergogniamo di porgerli le nostre mammelle”. 

Oggi possiamo escludere che tutto quanto si riteneva in passato sia trasmissibile al neonato dal volto di una bella balia attraverso il latte. Ma la tradizione di un bel viso di una nutrice verolana si è trasmessa alle generazioni del Novecento.