Vecchi treni ad altra velocità, ecco tutte le tratte ferroviarie

Abituati come cominciamo ad essere ai treni ad alta velocità – sia come riconoscenti fruitori che come basiti spettatori quando uno di questi missili ci supera di slancio sulla linea al fianco dell’autostrada – ci siamo un po’ dimenticati dei vecchi convogli che, senza fretta particolare, ci scarrozzavano su e giù per l’Italia in tempi tutto sommato non così lontani. Parlo di quella fruizione media ed episodica che poteva avere il cittadino comune diretto in vacanza o in visite fuori città, una categoria certo diversa da chi passa ore sui treni per business (il Milano-Roma al posto dell’aereo è ormai un classico quasi letterario) o per raggiungere ogni giorno il proprio posto di lavoro (l’eroica epopea dei pendolari meriterebbe un capitolo a parte). A riaccendere i riflettori su questo mondo, con una felice intuizione degli autori già a partire dal titolo, ci pensa per l’appunto I treni ad altra velocità (pp. 192, 44 euro), l’ultimo volume, il 42°, della collana «Italia della nostra gente» pubblicato da Ecra, la casa editrice legata alle Banche del Credito Cooperativo (Bcc). Gli autori sono il fotografo Luca Merisio, che, ormai raccolto il testimone dal padre Pepi, ha firmato quasi tutti gli oltre 200 scatti a colori del volume, e Antonio Polito, tra le firme principali del Corriere della Sera, che nel libro racconta come lui stesso, figlio di una coppia di fidanzati distanti avvicinati dal treno, debba in qualche modo la sua esistenza a ragioni ferroviarie.
Quello evocato dalle quasi duecento pagine del volume è un mondo, spesso seminascosto ai più, di motrici colorate, stazioni piccole e affascinanti, linee tracciate in riva al mare, che corrono sinuose tra le colline o perforano montagne scoscese. Ma anche vagoni con sedili lussuosi, sedili in similpelle o dure panche di legno, risalenti a quando il ceto sociale del viaggiatore era ancora sottolineato inequivocabilmente anche dall’arredo degli scompartimenti. Un mondo a bassa velocità che lasciava il tempo di osservare il panorama, di perdersi nei propri pensieri invece che davanti a uno schermo, perfino di scambiare qualche parola con perfetti sconosciuti che sarebbero poi usciti per sempre dalla nostra vita, in una sorta di piccola rappresentazione teatrale senza repliche dove anche qualche sincera confidenza poteva essere concessa proprio in virtù dell’anonimato e dell’unicità dell’incontro. Come scoprirà chi leggerà i saggi del libro, il panorama ferroviario italiano, estremamente frastagliato, è frutto di una faticosa unificazione ferroviaria operata dai Savoia a partire dalla nascita del Regno d’Italia, quando ci si trovò di fronte <a circa 2.000 chilometri di tronchi gestiti da ben 22 società private con regole e concessioni diverse>, a cui si sovrappose la politica delle strade ferrate <complementari> della legge Baccarini (1879) che puntava a collegare via ferrovia più borghi possibili della nuova Italia. Ne derivò una rete capillare e complessa che percorreva luoghi anche poco frequentati grazie a soluzioni architettoniche e ingegneristiche spesso ardite che negli anni ’60-’70 del secolo successivo, in tempi di austerity incipiente, furono spesso considerati costi da abbattere invece che strutture logistiche irrinunciabili alla civiltà e al progresso del Paese. Era la politica dei rami secchi che vennero tagliati spesso con approssimazione e poco buon senso, ricacciando alcuni territori in un doloroso isolamento solo perché non rappresentavano una priorità economica significativa. Oggi in parte queste tratte sono state meritoriamente recuperate per ragioni ambientali, turistiche o di semplice convenienza e hanno ripreso in qualche modo a vivere per la gioia dei residenti e per quella degli amanti di un turismo più slow. Come nel caso delle ferrovie dismesse (a cui è dedicato il terzo capitolo), circa 120 tra Nord, Sud e isole per un totale di 1.200 chilometri. Alcune, amputate dei binari, hanno comunque ritrovato una nuova ragion d’essere una volta trasformate in percorsi pedonali e ciclabili oggetto apprezzati da un numero crescente di appassionati, come nel caso della Dobbiaco-Cortina o della ciclovia Valle Brembana. Tratte da percorrere in totale relax, in bici, a piedi o perfino con gli sci da fondo, meditando fra sé e sé, chiacchierando con gli amici o, chissà, magari ascoltando con gli auricolari un vecchio album di Bob Dylan benedetto dalla chitarra elettrica dell’ex Dire Sraits Mark Knopfler e particolarmente adatto alle circostanze: «Slow Train Coming». Anche perché questo come gli altri della stessa collana, è un libro che espone la teoria, con i suoi testi e le sue foto, ma poi spinge alla pratica, ad andare sul campo per vivere in prima persona le emozioni dell’«altra velocità», una certezza laddove invece l’alta velocità, come ha ben raccontato recentemente il Dataroom di Milena Gabanelli, non mantiene sempre le meraviglie che promette. Un libro fotografico che diventa a sua volta una nitida fotografia, del nostro Paese in questo caso, perché, come ricorda Polito, «viaggiando a bordo di questi treni possiamo scoprire meraviglie di un’Italia a molti sconosciuta. Ma possiamo riflettere anche su cos’è l’Italia di oggi, un Paese sempre più spezzato sul piano della civiltà e della demografia tra le aree opulente e prospere e quelle depresse e abbandonate». Considerazioni anche queste da meditare alla giusta velocità. corriere.it