“Un giovane che nel 2020 vuole fare l’avvocato è un kamikaze”, la lezione dell’avv. Todini

In casa Todini il diritto trasuda financo dalle pareti. L’avv. Andrea Todini, intervistato dalla direttrice di Area C quotidiano, conserva oggi la tradizione centenaria curando lo studio legale di suo padre Giuseppe, (scomparso qualche anno fa ma sempre nel cuore dei verolani) all’ottavo piano del grattacielo ‘Edera’ di Frosinone. Sua figlia Priscilla studia brillantemente giurisprudenza mentre suo zio Vittorio raggiunse a Fiume il comandante Gabriele d’Annunzio che nel 1919 aveva da dirimere alcune questioni di carattere legale nel Golfo del Quarnaro.

Viste le numerose restrizioni nell’ambito delle libertà fondamentali, possiamo affermare che ci sia stato un declassamento del diritto di difesa a seguito delle decisioni governative? «Le restrizioni che tutti abbiamo subìto sono, evidentemente, la diretta ed inevitabile conseguenza della eccezionalità del periodo che abbiamo vissuto. D’altra parte, non mi sembra discutile che la contingente pandemia rientri in pieno nell’ipotesi della forza maggiore, che, sotto il profilo giuridico, richiede la previsione di norme e la predisposizioni di misure autoritative, preventive, di contenimento e repressive, che abbiano il carattere dell’urgenza e dell’eccezionalità. Ciò che per l’appunto ha anche riguardato la compressione del diritto di difesa. A parte i rinvii d’ufficio delle cause non urgenti, con lo spostamento delle udienze di qualche mese, l’esemplificazione è nella gestione delle udienze da remoto, ovvero la stessa soppressione della partecipazione fisica all’udienza, nelle sole ipotesi in cui non sia richiesta la necessaria presenza delle parti processuali, o di terzi (ausiliari; testimoni). Si deve però impedire che la legislazione dell’emergenza divenga la regola, con l’inevitabile spersonalizzazione del processo. E’ auspicabile che tutto torni alla normalità, una volta trascorsa l’emergenza, per ribadire l’estrema importanza della oralità, della concentrazione, dell’immediatezza, in estrema sintesi, della diretta e personale partecipazione del difensore nel processo».  

In che modo il difficile approccio a quella che i più definiscono giustizia digitale può in ogni caso diventare occasione per rivedere, svecchiare e semplificare il nostro farraginoso sistema processualistico? «La digitalizzazione del processo è ormai una realtà consolidata. Specie nel settore civile, che è quello a me più congeniale. La piattaforma digitale e l’utilizzazione delle funzionalità e dei relativi strumenti per l’accesso e l‘intervento sul fascicolo elettronico di ciascuna causa, unitamente all’uso quotidiano della pec e della firma digitale, sono novità epocali, direi dirompenti per l’attività professionale. Quella che si praticava fino a qualche anno fa è oggi completamente modificata. I nuovi strumenti digitali sono diventati insostituibili, con un apporto di novità, e diciamo anche di fluidità del lavoro, che ad oggi è assolutamente irrinunciabile. Tutte novità a cui il mondo forense si è dovuto necessariamente approcciare, anche se con l’interfaccia di sistemi istituzionali non sempre all’altezza. E purtuttavia la classe forense, che è stata chiamata ai nuovi aggiornamenti, ne ha dovuto sostenere, per intero, tutti i relativi costi, con l’assunzione delle conseguenti responsabilità, anche per le frequenti disfunzioni di sistema. Certamente, la gestione di tutte le attività del processo sono state agevolate, con indiscutibile giovamento; sebbene le genetiche farraginosità, che in gran parte dipendono da altri fattori, sono tutt’altro che eliminate».        

Disomogeneità dei criteri nei vari fori relativamente alla regolamentazione e alla gestione della cosiddetta “fase 2”. Oltre 200 differenti protocolli adottati dagli uffici giudiziari di tutta Italia. Quanto è corretto sostenere che il governo abbia mancato di progettualità e consapevolezza delle reali esigenze organizzative del sistema giudiziario? «Francamente non sono d’accordo con questa puntualizzazione. Non mi sento filogovernativo, ma se rifletto sulla miopia e le lacune delle passate legislature mi si drizzano i pochi capelli rimasti. Mi pare che i governanti attuali, alle prese con una crisi mondiale di portata epocale, hanno fatto il possibile, certamente non senza errori, o ritardi, più o meno gravi. Peraltro, la congerie di protocolli adottati in questi mesi, a tutti i livelli, hanno avuto tutti un denominatore comune, che è stato quello di fronteggiare una situazione assolutamente eccezionale, imprevista ed imprevedibile per noi comuni mortali (tutt’altro giudizio deve essere rivolto, invece, agli uomini e alle istituzioni che avrebbe potuto e dovuto prevedere e preventivare; ma questo è un altro discorso). E pur con l’adozione dei detti protocolli, siamo stati in grado anche di svolgere le udienze non differibili con la presenza fisica e in ragionevole tranquillità».         

Fase 2: per quello che concerne l’udienza civile è comunque richiesta “la presenza del giudice nell’ufficio e con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti”. Tale disposizione tuttavia sembra non osservare che i giudici civili sono gli unici a poter contare su un sistema rodato di processo civile telematico. Qual è la sua opinione al riguardo? «E’ ben vero che il processo civile è ormai saldamente avviato sulle rotaie della digitalizzazione. E, come detto, non sono discutibili i vantaggi che tutto ciò comporta. Come detto, però, pavento il timore che la direzione presa, con la ancor più marcata digitalizzazione del processo, in conseguenza delle misure di contenimento della pandemia, possa essere quella della tendenziale spersonalizzazione del processo, con l’inevitabile compressione della effettività e concretezza della difesa. La norma citata, di recente previsione, sulla necessaria presenza del giudice nell’ufficio giudiziario, mi pare che vada nella giusta direzione, a parziale contraddizione del paventato timore». 

In alcuni tribunali a causa dell’emergenza epidemiologica e delle sottese esigenze di tutela della salute, che impongono, tra le altre cose, il rispetto del distanziamento sociale, divorzi veloci senza udienza nei casi in cui c’è già un’intesa tra le parti. Come considera questa eventualità? «Le separazioni e i divorzi consensuali, ormai da tempo, sono disciplinati con procedimenti particolarmente rapidi. Oltre alla consensuale raggiunta in sede di prima udienza, dinanzi al Presidente del Tribunale, ormai è prevista anche la possibilità di evitare la stessa udienza in Tribunale, in conseguenza dell’accordo consensuale dei coniugi, separandi o divorziandi, come raggiunto in sede di procedura di negoziazione assistita, dinanzi ai rispettivi legali. Queste procedure si inseriscono nel più ampio genere delle misure di degiurisdizionalizzazione del contenzioso e come tali vanno viste con estremo favore. Tali procedimenti, che già sono all’ordine del giorno, li abbiamo affrontati normalmente anche nel recente periodo di lockdown».

Un messaggio da lanciare alle migliaia di praticanti tuttora in attesa dell’inizio della correzione del compito scritto sostenuto a dicembre scorso? «Il messaggio che mi sento di rivolgere ai praticanti “in attesa di giudizio”, la cui realtà è oggi aggravata anche per effetto delle drammatiche conseguenze dovute alla pandemia, che purtroppo avranno un’ultrattività non preventivabile, è un pensiero che assume il tono di un’esortazione. Visto che non è più di moda consultare gli aruspici, né è consigliabile sollecitare gli oracoli di Delfo della modernità, né tantomeno giungere a ipotizzare sacrifici umani di biblica memoria, l’unica strada mi pare quella di premunirsi di corni d’ogni genere, unitamente ad amuleti scaccia-maligno in quantità industriali; indi recarsi, nottetempo, a piedi scalzi, verso un qualsiasi Santuario, che sia il più lontano dalla rispettiva abitazione, per ivi rivolgere preci e litanìe di propiziazione. Solo la commistione tra sacro e profano potrebbe aiutare».

Quale futuro riserva l’ordinamento italiano ai giovani che scelgono la professione forense? «Un giovane studente del 2020 che si appropinqua alla professione forense lo paragono agli aviatori nipponici, più noti come kamikaze, che una volta terminato il carburante e i proiettili scientemente rivolgevano il muso dell’aereo incontro al nemico. Ma voglio mettere da parte le battutacce. Per intraprendere e poi avviarsi, seriamente, alla professione forense, oggi più di ieri è assolutamente necessaria una solida preparazione di base, che l’Università non sempre garantisce (il mio mentore postuniversitario diceva: la laurea mettetela in cornice e dimenticate tutto, che da oggi si studia altro e per davvero. E aveva ragione). E’ poi assolutamente importante associare un’inestinguibile voglia di studiare, di approfondire, di analizzare, con sana abnegazione personale. E non deve mancare una decisa costanza alla pugna. Altrimenti, è meglio pensare ad altro».