Uccide il marito con 2 coltelli da cucina, ecco la registrazione del litigio e le urla del figlio

«Perché? Perché? Noooo, ti prego mamma nooooooooo. Cos’hai fattooooo? Ti prego mamma, È papà….E si sarebbe calmato anche stavolta, non mi avrebbe fatto niente». Lui, suo figlio, è un ragazzino di soli 15 anni: la voce è disperata, spezzata. Urla. E urla ancora, mentre guarda il corpo del padre riverso a terra («c’è sangue dappertutto»), in cucina.  È la sera del 28 gennaio di un anno fa e lui ha appena visto la madre, Raffaella Ragnoli, 57 anni, accoltellare a morte il marito Romano Fagoni, operaio di 59 anni, nella loro villetta di Nuvolento. «No, si sarebbe calmato solo fino alla prossima volta» risponde lei, con voce fermissima. Perché «ti ha puntato un coltello alla gola, ti ha minacciato di morte, e non era la prima volta. È da vent’anni che fa così, ha minacciato di morte anche me, poco fa, in camera da letto. Vent’anni di violenze psicologiche, adesso basta. Sei mio figlio, non potevo aspettare ancora: non posso aspettare che ti uccida. L’avrebbe fatto». Pausa. «Lui mi ha ucciso, mi ha rovinato la vita». Pausa. «Qua è legittima difesa, perché ho salvato te dalla morte».
Ascoltare, in aula, dagli altoparlanti, fa venire la pelle d’oca. La conversazione tra l’imputata e il figlio minore — prodotta dalla Procura e finita agli atti del processo davanti alla Corte d’assise (presidente Roberto Spanò) — inizia alle 20.05 di quel 28 gennaio, impressa su un file audio che la stessa Raffaella Ragnoli attiva per registrare di sua iniziativa, sul cellulare (che resterà in modalità aerea fino al giorno dopo), subito dopo l’omicidio.
Una registrazione che, come un pugno nello stomaco, restituisce tutta la disperazione dell’adolescente, in preda al panico e incapace di trattenere le lacrime, se non davanti alle domande degli operatori del 112 che lui stesso chiama. Due volte: alle 20.02 e alle 20.13. «I miei genitori stanno litigando, si stanno facendo del male, venite. Noooo, basta, bastaaaaa» urla a squarciagola nella prima telefonata.
L’imputata, che risponde di omicidio volontario aggravato, seduta in prima fila accanto ai suoi legali (gli avvocati Tommy Bettanini e Anna Maria De Mattei), riascoltando lo strazio del figlio piange a sua volta, in aula, con la testa tra le mani. «Mio padre è a terra», «Ormai l’ho ucciso», si sente di sottofondo la voce di Raffaella. Poi, il dialogo tra loro due. Il ragazzino si chiede cosa abbia fatto di male, invoca Dio: «Aiutami, se sei buono. Perché mamma tutto questo? È morto mamma, è morto». 
Ma lei ribadisce: «Non potevo aspettare che ti ammazzasse, quante volte, quante, ti ha minacciato». Lo ripete più e più volte, determinata, senza crollare. Dopo quella che sostiene sia stata una vita coniugale infernale. Tanto che nella seconda telefonata al 112, il figlio sembra andare incontro alla sua versione: «Mio padre mi ha minacciato di morte con un coltello — dice ai soccorritori —, la mamma l’ha colpito alla gola. C’è sangue ovunque».
I fendenti (inferti con due coltelli da cucina, trovati uno nel lavello l’altro sul tavolino del salotto) non sono pochi: 24 ferite da taglio e altre 9 da punta e taglio, di cui due, ritenute letali, inferte al collo, hanno reciso ora l’arteria succlavia destra, ora la carotide sinistra, spiega il direttore dell’Istituto di Medicina legale del Civile, Andrea Verzeletti, chiamato a deporre dal pm Flavio Mastrototaro.
Nella prima traccia audio di quella sera, attivata sempre da Raffaella alle 19.57, i tre sono a tavola. «Metti giù il coltello» dice il figlio al padre. Le voci sono più confuse: «Se noi andiamo d’accordo sono contentissimo», «E allora fuma, bevi, se ti diciamo di non farlo è solo per il tuo bene». 
Poi ecco Raffaella Ragnoli rivolgersi al marito (che dal tossicologico era ubriaco) nitida: «Stai impazzendo di nuovo, lo stai minacciando. Vedi come sei? Vedi? Dove lo pianti il coltello, dove? Dai fallo, fallo…provaci dai». Smorzato, si percepisce un urlo sordo di Fagoni. Che morirà «pochi minuti dopo i colpi letali» conferma il medico legale. 
«Non era più una vita, la nostra — continua Raffaella al figlio, dopo il delitto — Abbiamo rischiato tante volte, non potevo più attendere. Lasciarlo? Gliel’avevo detto sai? Ma mi avrebbe trovata. E uccisa. Non poteva lasciarmi andare».
Nell’ultimo mese prima del l’omicidio, pare che l’imputata, come confermato dall’analisi del suo smartphone, fosse solita registrare i dissidi e i litigi con il marito. Dalle chat, però, personali o di famiglia, pare non siano emersi pregressi maltrattamenti del marito, «solo alcune lamentele sul suo nervosismo nei weekend. Nulla neanche sul figlio, di cui Fagoni era orgoglioso» spiega il maresciallo Mauro Piga, che ha esaminato i dispositivi.
La sera del 29 gennaio, però, «il padre e il ragazzo avevano avuto una discussione concitata» durante la quale Fagoni, appunto, gli avrebbe puntato un coltello da pasto. La moglie, però, «sperava che nel telefono non ci fosse una traccia audio del momento dell’omicidio». Che non c’è. Appena prima e subito dopo invece sì. La domanda è proprio perché l’abbia fatto.
Perché l’imputata abbia voluto registrare dopo aver ucciso il marito. Potrà spiegarlo lei stessa, la prossima udienza fissata a marzo, quando la Corte ascolterà anche la figlia maggiore (vive da sola da anni), che non si è costituita parte civile. A differenza del fratello minore. corriere.it