Sovranità nazionale, la lezione di Bettino Craxi

‹‹La mia libertà equivale alla mia vita››, in questa frase si riassume Benedetto (Bettino) Craxi. L’anniversario della sua scomparsa suscita a distanza di diciassette anni forti emozioni tra coloro che vissero gli anni mirabili del Partito socialista italiano. I più giovani vagamente lo ricordano, hanno studiato la sua formazione politica, la sua ascesa al potere e il suo tragico epilogo sui libri di scuola; intelligentemente riflettono su quanto accaduto nei primi anni Novanta e apprezzano oggi la figura politica e carismatica di Craxi. Fu il primo iscritto al Psi a ricoprire l’incarico di presidente del consiglio dei ministri e sin da ragazzo mostrò particolare attaccamento alla causa socialista e ai valori nazionali. Dedicò la sua vita alla politica e al suo Paese che sempre ha amato. Fu altresì il primo socialista ad esaltare la personalità individuale e il pluralismo economico, politico, religioso e a prendere le distanze da logiche di totale statalizzazione. Craxi preferì Proudhon a Lenin e a Marx e fece tesoro della importante linea di demarcazione che il filosofo francese tracciò tra società socialista e società comunista. Craxi infatti evidenziò quanto un Paese non debba subire l’accentramento del potere, la distruzione sistematica di ogni pensiero individuale, un apparato di polizia inquisitoriale, la statizzazione integrale dei mezzi di produzione, la soppressione del mercato, l’abolizione della libertà d’iniziativa economica. Caratteristiche, queste, tipiche della società comunista e collettivista.

In sedici anni Craxi è passato dagli altari alla polvere. Governò l’Italia dal 1983 al 1986, (è stato l’esecutivo più longevo della storia repubblicana prima della discesa in campo di Silvio Berlusconi) e il suo imperativo categorico fu modernizzare. Intervenne immediatamente riducendo il tasso d’inflazione, restituendo competitività alle imprese e investendo nel sociale e nella ricerca. Firmò il nuovo concordato Stato-Chiesa, si affermò in ambito internazionale rivolgendo particolare attenzione alla cooperazione tra popoli. Non si piegò agli Stati Uniti durante la crisi di Sigonella e mostrò di essere contrario in ogni occasione al regime sovietico. Sostituì infine falce e martello, simbolo sanguinario, con il garofano rosso. Per tutto questo oggi è considerato da destra a sinistra uno statista.

Bettino Craxi ricevette il primo avviso di garanzia il 15 Dicembre 1992. Il 3 luglio dello stesso anno il leader socialista denunciò nell’aula di Montecitorio l’irregolarità e l’illegalità di buona parte del finanziamento politico. Proseguì invitando i presenti in aula ad alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario alle sue dichiarazioni. Nessuno si alzò. In seguito subì il lancio vergognoso di monete e le grida spagnolesche all’uscita dell’Hotel Raphaël a Roma. Era il 29 Aprile 1993, il parlamento aveva negato l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti. In quegli anni alcuni pagarono tragicamente e altri giocarono a fare gli eroi. Nel 1994 il capro espiatorio Craxi si ritirò in Tunisia. Evitò di sottoporsi a processo. Preferì morire ed essere sepolto lontano dal suo Paese piuttosto che essere condannato ingiustamente rispetto all’intero sistema politico e partitico. Addirittura, in occasione della sua morte l’allora presidente del consiglio Massimo D’Alema, ex Pci, propose alla famiglia i funerali di stato. I familiari rifiutarono. A distanza di diciassette anni dalla sua scomparsa numerose amministrazioni stanno lavorando per intitolare allo statista una via o una piazza e moltissimi lo piangono sulla tomba.