“Servire non servirsi”, il pensiero di Don Sturzo è attuale

È difficile, dopo l’elezione al Quirinale di Sergio Mattarella e la fase di transizione in atto nel PD, non intravedere l’ombra dello scudo crociato sulla terza repubblica o seconda bis. Se così fosse, perché non tornare alle origini e al pensiero di Don Sturzo?
Se svolta democratica e moderata deve essere, non si può che partire dagli insegnamenti del fondatore del Partito popolare, per non cadere negli stessi errori dei suoi successori ma soprattutto per prendere le distanze da una politica urlata e insudiciata, per ritornare ad avere degli obiettivi comuni e moralmente condivisi. “Servire non servirsi”, ad esempio, è una interessante raccolta di tre lettere, indirizzate rispettivamente ad Aldo Moro, a Giuseppe Caronia, padre costituente nelle liste della DC e a Ferdinando Scajola, fondatore della DC di Imperia e dodici tra articoli e interventi parlamentari scritti da Don Sturzo, tra il ’46 e il ’59, al ritorno dal suo esilio ventennale. Una piccola parte della sua eredità intellettuale, un monito per il futuro che viene dal passato ma che risulta di un’attualità profetica. E la differenza tra attualità e modernità è in questo caso sostanziale. E così tra le pagine di questa raccolta emergono questioni mai archiviate. Sturzo condanna le tre “malabestie”, statalismo, partitocrazia e sperpero del denaro pubblico, sfamate da uno stato imprenditore. Lo fa cercando di insegnare ai cattolici il dovere di interessarsi alla cosa pubblica facendo leva sui valori morali ma con quel pragmatismo che fece di lui un grande statista, “se statista vuol dire avere una visione strategica della vita del proprio popolo, se vuol dire avere dello stato una limpida concezione laica” come la ebbe lui. Denuncia la corruzione, prende posizione nei “casi mediatici” di quegli anni offrendo una visione panoramica degli albori della prima repubblica, discute ora con pacatezza ora con fervore dell’accentramento statale greve e sconcertante, dell’incompatibilità tra incarichi politici e amministrativi, della nascita del sistema regionale prevedendone prima il fagocitamento da parte dello stato e poi il fallimento. Si rivolge ai giovani senza ghettizzarli in una categoria protetta ma dandogli in mano la responsabilità del loro futuro, esortando la gioventù sana e idealista, presente oggi come allora, a impegnarsi per le cause comuni perché solo questo può creare il clima giusto per la ripresa. Un’opera che suggerisce riflessioni storiche, che dà uno sguardo al passato ma che porta con sé quel retrogusto di speranza che hanno solo le seconde possibilità.