Quando Fiume e d’Annunzio erano il centro del mondo

[one_third]fiumefiumefiume[/one_third] La città di Fiume, già importante durante l’impero austroungarico, divenne il centro del mondo al termine della prima guerra mondiale quando venne conquistata da Gabriele d’Annunzio alla testa di trecento legionari. Nella primavera del 1919 i diplomatici dei paesi che avevano partecipato al primo conflitto mondiale infatti erano riuniti a Parigi per decidere le condizioni della pace. Prima dell’entrata in guerra, il governo italiano aveva discusso con i francesi e britannici il bottino che sarebbe spettato al nostro paese in caso di vittoria. Una delle questioni più delicate era quella che riguardava Fiume che non era inclusa negli accordi ma che era abitata in maggioranza da italiani. Una parte dell’opinione pubblica continuava a chiedere l’annessione di Fiume ad ogni costo, tramite appelli, comizi e articoli di giornale, tra cui quelli del Popolo d’Italia diretto da Benito Mussolini. Ma quasi tutte le altre grandi potenze alla Conferenza di Parigi, in particolare gli Stati Uniti, erano contrarie a questa richiesta. Il 24 aprile 1919, in un ultimo tentativo di forzare la mano agli altri delegati, il presidente del consiglio Vittorio Emanuele Orlando e il ministro degli esteri Sidney Sonnino abbandonarono Parigi e tornarono in Italia. A Roma vennero accolti da una folla di nazionalisti e furono acclamati come eroi. Una settimana dopo, il 5 maggio, quando divenne chiaro che non c’era possibilità di far cambiare idea ai delegati delle altre potenze e mentre il bottino della guerra cominciava ad essere spartito senza tener conto dell’Italia, Orlando e Sonnino tornarono in Francia. La questione di Fiume era ormai sulle prime pagine di tutti i quotidiani ed era divenuta il simbolo della sconfitta dell’Italia al tavolo della pace e dell’egoismo degli alleati.

Gabriele d’Annunzio all’epoca aveva 56 anni ed era tra i più noti intellettuali al mondo. Era anche uno dei più accesi sostenitori del nazionalismo. In una serie di discorsi incendiari, tenuti in giro per l’Italia, d’Annunzio accusò le potenze alleate e il governo italiano di aver tolto il giusto bottino «a una nazione vittoriosa, anzi alla più vittoriosa di tutte le nazioni, anzi alla salvatrice di tutte le nazioni». Accanto a d’Annunzio in questa campagna e con un rapporto di reciproco odio e amore c’era Mussolini, che sul Popolo d’Italia riprendeva le tesi e i discorsi del poeta. Anche se l’Italia aveva seri problemi socioeconomici, a leggere i giornali di quei giorni sembrava che il destino del paese dipendesse soltanto da Fiume. Intanto d’Annunzio era andato oltre i discorsi in piazza. Grazie ai suoi contatti tra i nazionalisti, tra i reduci e tra gli ufficiali dell’esercito aveva messo insieme armi e volontari per una spedizione militare. La sua intenzione era conquistare Fiume e proclamarne l’annessione all’Italia. L’11 settembre scrisse una lettera al suo “amico” Mussolini. Il giorno successivo d’Annunzio e trecento legionari raggiunsero il confine italiano a Ronchi e quando un generale provò a fermarlo, d’Annunzio aprì il pastrano mostrando il petto coperto di medaglie ottenute in guerra e disse «Lei non ha che a far tirare su di me, Generale!». L’ufficiale non ordinò di sparare e il 12 settembre d’Annunzio e i suoi uomini entrarono nella città di Fiume senza gravi incidenti. Il primo gesto del Vate fu prendere il municipio e tenere un emozionante discorso dal balcone durante il quale proclamò lo stesso 12 settembre “giorno della Santa Entrata”. Poi organizzò un plebiscito sull’annessione che vide 6.999 cittadini favorevoli e soltanto 156 contrari.

Nel frattempo la legione si ingrandiva. d’Annunzio era partito con trecento uomini e arrivato a Ronchi ne aveva già un migliaio. Dopo l’occupazione di Fiume, in poche settimane, riuscì a mettere in piedi un esercito di circa cinquemila soldati. C’erano eroi di guerra come Giovanni Host-Venturi, ardito e pluridecorato, Guido Keller, asso dell’aviazione che diceva di cibarsi soltanto di petali di rosa candita, poeti futuristi come Filippo Tommaso Marinetti che trascorse in città alcuni mesi, moltissimi nazionalisti e lo stesso Guglielmo Marconi fece visita al Vate. E poi avventurieri belgi, egiziani, irlandesi e giapponesi come Harukichi Shimoi, poeta e scrittore che in quei mesi fu incaricato di portare i messaggi di d’Annunzio a Mussolini che si trovava Milano. Durante l’impresa di Fiume fu prestata molta attenzione a diversi dettagli come bandiere, vessilli e uniformi. Numerosi elementi che poi sarebbero entrati a far parte dello stile fascista nacquero a Fiume. Quasi tutti i legionari e gli ufficiali portavano la camicia nera e tenevano un pugnale al fianco, legato alla cintura. Altrettanto diffusi erano i teschi e le tibie incrociate, i riferimenti alle grandezza di Roma e le aquile imperiali. Si diffuse anche il saluto con il braccio teso, il fez nero e il grido “A noi!”. “A chi Fiume?” “A noi!”. Poi d’Annunzio e i suoi approvarono anche una costituzione che trasformava Fiume in una sorta di stato indipendente. La “Carta del Carnaro” era all’avanguardia e tra i principi riconosceva già nel 1920 il diritto di voto alle donne. Fiume fu inoltre il primo “stato” al mondo a riconoscere l’Unione Sovietica, nata in quegli anni. Ma Giovanni Giolitti, succeduto a Francesco Saverio Nitti, non era dello stesso avviso e soffriva la leadership di d’Annunzio. Il presidente del consiglio allora decise di firmare con la Jugoslavia il trattato di Rapallo per mettere fine alla questione fiumana. La città avrebbe acquisito lo status di “città libera”, sottoposta a tutela italiana. Il 23 dicembre l’esercito italiano lanciò un ultimatum a d’Annunzio, il vate e i suoi uomini avrebbero dovuto abbandonare la città in ventiquattro ore. d’Annunzio respinse l’ultimatum e l’esercitò italiano attaccò. Il 24 e il 25 dicembre ci furono scontri in cui morirono alcune decine di legionari e di soldati italiani. La corazzata italiana “Andrea Doria” sparò alcuni colpi di cannone che centrarono la residenza del comandante d’Annunzio. Pochi giorni dopo, il poeta firmò la resa. L’esercito italiano occupò la città e d’Annunzio decise di partire e di ritirarsi in una sorta di esilio volontario a Gardone Riviera, sul lago di Garda.

Il 16 marzo del 1924 Re Vittorio Emanuele III entrerà a Fiume e proclamerà la città parte del Regno d’Italia. Ma questa è un’altra storia.