Prova a strangolare la moglie di notte, assolto perché sonnambulo

Quando le strinse le mani al collo, la notte del 4 gennaio 2021 mentre lei stava dormendo, non sapeva cosa stesse facendo. È stato assolto «perché il fatto non costituisce reato», come chiesto dalla Procura, il sessantenne di Braone finito a processo per il tentato omicidio della moglie, che non si è costituita parte civile: «Non volevo, ero sonnambulo» ha sempre detto lui, che dopo essersi svegliato — lei gli morse un dito cercando di respirare — tentò di togliersi la vita lanciandosi dalla finestra al terzo piano. Un «volo» di cui ancora porta i segni, che gli valse tre mesi di ospedale e uno di riabilitazione, oltre a un divieto di avvicinamento alla vittima. «Ho pensato fossero entrati in casa i ladri, che lui e mio figlio avessero già avuto la peggio», raccontò lei in aula. Poi riconobbe il marito. Ma «era come in trance». Lo stesso pm Flavio Masrototaro, nella sua requisitoria, ha ripercorso le conclusioni stilate dal perito e dal consulente di parte. «Il punto è chiedersi se al momento dei fatti fosse cosciente. Stando al perito era sotto l’effetto di un evento legato al sonno, tanto da non proferire lamento quando fu morsicato. Ed è plausibile. Quindi no, non era cosciente, stato che esclude la suitas della condotta, cioè la consapevolezza». In sintesi: «Manca la coscienza concreta del fatto» in questione, così come la cognizione «della possibilità di trovarsi in uno stato di incoscienza, in modo da mettere in atto una serie di accorgimenti» per evitarlo: «Nessuna negligenza da parte dell’imputato, che ebbe solo un episodio simile 18 anni prima».  Ma se per l’accusa non ci sarebbe correlazione certa fra infermità e incapacità di intendere e volere, per il difensore — l’avvocato Maria Cristina Sandrini —, che ha chiesto in prima istanza l’assoluzione «perché il fatto non sussiste», invece, «in quel momento ci fu un totale vizio di mente». E lo ha sostenuto partendo dalla distinzione tra eventi parasonnici dettati da fattori patologici o fisiologici, come nel caso di specie, spiegata dagli esperti: «Noi però non dobbiamo incorrere in questa differenza clinica sotto il profilo psichiatrico forense, perché l’effetto è il medesimo: lo stato del mio assistito, quella notte, era totalmente alterato». corriere.it