Pasta del Conclave, misteri e ricetta del piatto per l’elezione del Papa

Più di una tradizione secolare, alle origini della «pasta del Conclave» ci sarebbe una leggenda. Un mito, se non proprio «un’invenzione», spiega la storica ed esperta di ricettari di cucina, Mila Fumini. Una ricetta povera che, a poche ore dal Conclave che dalle 16:30 di oggi impegnerà 133 cardinali nell’elezione del nuovo pontefice, suscita curiosità, ma di cui non vi è traccia tra i documenti ufficiali. Pochi ingredienti, quasi nessuna attestazione, solo ipotesi tra semplicità, segretezza e simbolismo. Ecco cosa si cela dietro la celebre ricetta, oggi emblema della gastronomia papale.
La ricetta della «pasta del Conclave» è tanto nobile quanto basica alla luce dei suoi soli tre ingredienti: pasta lunga o corta — non vi è specificazione sul formato —, da cuocere e successivamente mantecare in padella con una noce di burro e un’abbondante spolverata di parmigiano. Lontano dalle liturgie, non mancano versioni più sfiziose, facilmente replicabili, che prevedono l’aggiunta di pepe macinato fresco o rivisitazioni con il pecorino al posto del parmigiano. Tornando all’indagine sulle origini del piatto, regna l’incertezza: «La ricetta non risulta in alcun modo connessa formalmente alla liturgia del Conclave — spiega Fumini —. Ma del resto, nemmeno la dieta stessa a cui dovranno attenersi i cardinali è normata». Non c’è dubbio che si tratti di una ricetta povera, la cui semplicità degli ingredienti e del procedimento di cottura la contrappongono a piatti più elaborati e golosi, lontani dalla sobrietà. «Potremmo anche ipotizzare che le sia stato dato questo nome come rimando a un piatto da “regime di clausura”. Nasce da pochi e poveri ingredienti, proprio come quando ci si trova forzatamente rinchiusi e senza una dispensa ben fornita a cui attingere».
Qualche storica ipotesi, che giustificherebbe il legame tra la ricetta e la clausura cardinalizia, sembra però esserci. Il piatto potrebbe essersi imposto nella tradizione alla fine del XIII secolo, con l’istituzione del Conclave stesso — nel 1274 — su volontà di Papa Gregorio X. Eletto dopo quasi tre anni di consultazioni, il pontefice — nella costituzione apostolica Ubi Periculum — dettò rigide norme per accelerare i tempi dell’elezione, servendosi proprio della cucina come strumento di pressione. In particolare, il progressivo razionamento dei pasti da servire ai cardinali: da tre al giorno a uno solo, qualora lo scrutinio fosse durato più di tre giorni, fino a soli acqua, pane e vino qualora il conclave fosse durato più di otto giorni. Anche in caso di divergenze sarebbe stata, dunque, la fame a mettere d’accordo i porporati sul nome del pontefice in tempi brevi. E a tal proposito, superati i tre giorni di scrutinio, proprio la «pasta del Conclave», sostanziosa, sarebbe stata il giusto compromesso da servire come unico pasto della giornata. Ma la segretezza che ammanta l’elezione del pontefice è la stessa che avvolge i ricettari vaticani.
Le Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli preparano i pasti da servire ai cardinali durante il periodo di clausura secondo rigorosi dettami. Menu all’insegna della sobrietà e della leggerezza per non affaticare la digestione dei porporati, ma soprattutto un’alimentazione nutriente per favorire la concentrazione. Ricette ispirate alla tradizione gastronomica italiana, proposte nella loro versione più light. Cereali, carni bianche, pesce, ortaggi e frutta di stagione. Tutto preparato all’interno del Vaticano, per evitare contaminazioni. Bandito qualsiasi dispositivo elettronico, non saranno servite ai cardinali nemmeno torte stratificate o polpettoni: nulla che al suo interno possa ospitare messaggi segreti, pena la scomunica. Una questione di cibo e religione: due culti che si intrecciano e che, nel caso della «pasta del Conclave», hanno dato vita a una romanzata tradizione. Misteri che non permettono tuttavia di escludere che proprio il piatto, simbolicamente bianco, possa essere l’ultima pietanza servita ai tavoli prima dell’atteso «Habemus papam». corriere.it