Niente radio in macchina, 26 milioni di italiani rischiano di non poterla più sentire

C’è un’Italia che continua a sintonizzarsi. Ogni mattina, al semaforo, nel traffico o lungo i tornanti della statale, sono milioni gli automobilisti che accendono la radio come un gesto automatico, intimo, quasi rituale. È una compagnia, una bussola, un sottofondo. Ma quella che fino a ieri sembrava una certezza tecnologica – la radio in auto – oggi appare sempre più come un optional a rischio.
Secondo Massimiliano Capitanio, commissario dell’Agcom (l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), 26 milioni di italiani potrebbero presto trovarsi a viaggiare senza la possibilità di ascoltare la radio in auto. La causa? L’arrivo sul mercato di nuovi modelli di vetture privi del classico sintonizzatore FM o DAB, sostituiti da interfacce digitali USB o sistemi operativi esclusivamente orientati allo streaming.
«Alcune case automobilistiche – ha dichiarato Capitanio durante il convegno promosso da Agcom e dall’Ordine dei Giornalisti della Campania – stanno già producendo veicoli che escludono l’autoradio tradizionale. È una tendenza pericolosa. La radio è uno strumento di informazione, democrazia e pluralismo. Non possiamo permetterci di perderla».
La questione non è solo simbolica, ma concreta. E ha cominciato a manifestarsi con l’avvento di auto sempre più “smart”, connesse a internet, dotate di display touch e capaci di dialogare con i principali sistemi di infotainment mobile – da Apple CarPlay a Android Auto. In questo scenario, la radio lineare viene trattata come una tecnologia del passato, spesso sacrificata in nome della flessibilità e dell’estetica dei cruscotti digitali.
In molti modelli, soprattutto nelle versioni base di fascia medio-alta, la ricezione FM è assente o nascosta dietro applicazioni che richiedono connessione dati. Persino il DAB, lo standard digitale europeo, non sempre è incluso. Il risultato? Senza uno smartphone con piano dati attivo e connessione stabile, milioni di guidatori rischiano di perdere l’accesso alla radio tradizionale.
Il fenomeno è particolarmente rilevante nel nostro Paese, dove la radio mantiene un ruolo sociale e culturale cruciale, molto più che in altre nazioni. L’Italia ha oltre 2.400 emittenti attive, locali e nazionali, con un ascolto quotidiano che supera i 35 milioni di utenti medi giornalieri.
Eppure, rischia di essere estromesso da un futuro automobilistico progettato più per l’ecosistema di Spotify che per il pluralismo informativo. Non è un caso che Agcom abbia già inviato una segnalazione ufficiale al Governo per richiedere un intervento normativo che tuteli la presenza della radio nei veicoli venduti sul territorio italiano. Capitanio sottolinea: «Senza un’azione decisa, non solo rischiamo di perdere un mezzo di comunicazione centrale per la sicurezza e l’informazione, ma anche migliaia di posti di lavoro nel settore editoriale e radiofonico. È un colpo alla filiera industriale e ai diritti dei cittadini». Il tema è già approdato in Parlamento, dove si discute l’introduzione di un obbligo legislativo per i costruttori: ogni auto nuova immatricolata in Italia dovrebbe garantire, come minimo, l’accesso alla radio FM e DAB+. Una richiesta che si rifà alle norme europee in vigore dal 2021, le quali impongono la presenza del DAB+ nei ricevitori radio venduti per uso domestico e automobilistico. Ma l’implementazione, in molti casi, è parziale.
Dietro la scomparsa dell’autoradio, però, c’è anche una questione economica e culturale: l’idea, sempre più diffusa, che l’informazione debba essere veicolata esclusivamente attraverso piattaforme digitali, spesso a pagamento o basate su modelli algoritmici.
Un’auto senza radio, ma con accesso esclusivo a piattaforme di streaming, rischia di diventare uno spazio chiuso, commerciale, dove l’offerta informativa è mediata da logiche di mercato e profilazione. In altre parole: non c’è più un’etere aperto, ma un menu selezionato.
Un cambiamento che va ben oltre l’aspetto tecnologico. È una trasformazione del modo in cui il cittadino si relaziona con il bene pubblico dell’informazione. In un Paese dove le fasce più deboli della popolazione spesso si affidano alla radio come unica fonte continua e gratuita di notizie, la sua esclusione rappresenta una forma implicita di discriminazione digitale.
Finora le case automobilistiche non hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali. Tuttavia, i segnali sono evidenti. Tesla, per esempio, ha già eliminato la radio FM dai suoi modelli più recenti, puntando esclusivamente su app e streaming. Altri marchi come Mercedes, BMW e Volkswagen offrono il DAB solo come optional o lo nascondono dietro pacchetti di infotainment costosi.
È un’evoluzione coerente con la trasformazione delle auto in device digitali su quattro ruote, ma che solleva dubbi sulla sostenibilità e sull’accessibilità. Se l’auto del futuro sarà davvero un computer mobile, chi controllerà i contenuti trasmessi? Chi potrà permettersi l’informazione?
La richiesta di Agcom è chiara: un intervento normativo nazionale che imponga l’inclusione obbligatoria del modulo FM e DAB in tutte le auto nuove. Ma serve anche un aggiornamento dell’apparato sanzionatorio e una vigilanza attiva sul rispetto delle normative europee, spesso disattese con escamotage tecnici o commerciali.
Una strada percorribile potrebbe essere quella della certificazione obbligatoria dei veicoli rispetto agli standard di accesso ai media. Una misura simile esiste già per il digitale terrestre o per gli apparecchi TV, ed è stata fondamentale per garantire l’universalità del servizio.
Parallelamente, andrebbe incentivata anche la digitalizzazione dell’offerta radiofonica, con investimenti pubblici sul DAB e sulla copertura territoriale, ancora disomogenea in alcune regioni. corriere.it