Mozart scrive a suo padre, “Con un’opera a Napoli ci si fa più onore di cento concerti in Germania” 

“Napoli è bella, ma piena di gente come Vienna e Parigi. E per quanto riguarda l’impertinenza del popolo a Londra e a Napoli, non so se Napoli non abbia la meglio su Londra”. Scriveva così nel maggio del 1770 un ragazzo di quattordici anni all’amata sorella Nannerl, in una delle tante lettere a lei spedite nel corso del suo viaggio in Italia insieme al padre Leopold. L’eccezionalità di questi scritti risiede nel fatto che il ragazzo in questione fosse Wolfgang Amadeus Mozart, indiscusso genio della musica classica, che all’epoca del viaggio nel nostro Paese aveva già suonato alla corte di Maria Teresa, regina d’Austria, aveva composto sinfonie e sonate – compresa un’opera buffa per l’imperatore Francesco I – e aveva ottenuto il titolo di “Konzertmeister” (primo violino) a Salisburgo.

Agli inizi del XXVIII secolo la città di Napoli, con circa un milione d’abitanti è una delle più popolose d’Europa e, pur soffrendo delle sue “eterne” contraddizioni, vive un clima culturalmente vivace e cosmopolita grazie soprattutto all’ascesa al trono di Carlo di Borboneche accoglie nella capitale del Regno i più importanti architetti e i più famosi artisti dell’epoca. Anche sul versante musicale la città gode di una stagione particolarmente felice: l’opera “buffa” raggiunge il suo apice con Paisiello e Cimarosa, ovunque a Napoli si fa musica e ovunque si trovano musicisti di strada con tanto di zampogna e mandolino. In una fucina di talenti così viva e produttiva è fondamentale per Leopold Mozart, compositore e violinista tedesco, che il suo talentuoso figlio Wolfgang entri in contatto con gli illustri personaggi di un ambiente così raffinato e acculturato. L’eccitazione dei Mozart per Napoli è tanta che Leopold scrive alla moglie “ancora non so dirti quanto ci fermeremo qui. Non posso che scegliere fra cinque settimane o cinque mesi. Ma credo cinque settimane. Tutto, comunque, dipende dalle circostanze”. A entrambi piace il passeggio quotidiano, quando “la sera fino all’Ave Maria, la nobiltà va a spasso in centinaia di carrozze dalla Strada nuova e al Molo […] e non appena accenna a farsi buio, tutte le carrozze accendono le fiaccole, per creare una sorta di illuminazione”; entrambi sono affascinati dal “Vesuvio che fuma forte”, dalla posizione del luogo, “dalla sua fecondità, vivacità e rarità”.

Tuttavia, nonostante una vita mondana fatta di nuovi incontri e vecchie amicizie, Wolfgang non riceve nessuna scrittura per i teatri napoletani e lo stesso Ferdinando di Borbone, il re “lazzarone, cafone e nasone”, all’epoca diciottenne, gli concede solo una veloce visita di cortesia nella cappella palatina della Reggia di Portici, perché con ogni probabilità il giovane austriaco era percepito ancora come un intrattenitore destinato ad un pubblico medio e quindi non era ritenuto all’altezza di suonare dianzi a un Re. Nei giorni successivi Wolfgang si esibisce al Conservatorio della Pietà dei Turchini – fulcro della gloriosa scuola musicale napoletana tra il XVII e il XVIII secolo – e qui si imbatte, divertito, in una di quelle “superstizioni spaventose a cui il popolo si abbandona”, come scrive suo padre Leopold: mentre è intento a suonare con l’agilità e la maestria che lo contraddistinguono, il pubblico rumoreggia perché è convinto che la sua bravura derivi da un anello che indossa alla mano sinistra. Il giovane Mozart comprende il motivo di tanto baccano e lentamente si sfila l’anello per continuare a esibirsi con la stessa bravura di prima, lasciando tutti ammutoliti.

Il 30 maggio assiste alla prima rappresentazione dell’ “Armida abbandonata” di Niccolò Jommelli, ma la ritiene “troppo seria per il teatro”, e a casa dello stesso Jommelli conosce l’impresario Amadori che gli commissiona un lavoro, mai realizzato, per il Teatro San Carlo. Una volta appurato che non ci sono molte possibilità a Napoli per il figlio, Leopold decide di lasciare finalmente la città, non prima però di aver visitato, questa volta da turisti, le bellezze del posto:  “Il 13, giorno di Sant’Antonio […] alle cinque di mattina ci recammo in carrozza a Pozzuoli, dove giungemmo prima delle sette e dove ci imbarcammo per dirigerci verso Baia; qui vedemmo in bagni di Nerone, le grotte sotterranee della Sibilla cumana, il lago d’Averno, il Tempio di Venere, il Tempio di Diana, i Campi Elisi, il Mare Morto ove era il barcaiolo Caronte […] sulla via del ritorno vedemmo molti bagni antichi, templi […] ma soprattutto la grotta di Pozzuoli e la tomba di Virgilio […] La settimana entrante visiteremo il Vesuvio, le due città sprofondate in cui vengono dissotterrate case intere del tempo antico”.

La mattina del 27 giugno 1770 i Mozart lasceranno Napoli dove non torneranno più, ma Wolfgang avrà sempre nostalgia dell’Italia e della città del “Vesuvio fumante.”In una lettera al padre, qualche anno più tardi, dirà: “Ho un’indescrivibile brama di scrivere ancora una volta un’opera e quando avrò scritto l’opera per Napoli, mi si ricercherà ovunque[…] con un’opera a Napoli ci si fa più onore e credito che non dando cento concerti in Germania”.

Redazione Digital