Marcia su Roma, colpi di fucile a San Lorenzo

[one_third][/one_third] Il 24 Ottobre 1922 a Napoli si tenne una grande adunata fascista. Benito Mussolini invitò i presenti a raggiungere la capitale rievocando il motto dannunziano “Roma o morte”. Il quadrumvirato, composto da Balbo, De Vecchi, De Bono e Bianchi, organizzò le colonne alle porte della città eterna. Il futuro duce invece, tornato a Milano, sarebbe giunto a Roma viaggiando sul vagone letto delle Regie ferrovie.

Così il 28 Ottobre 1922 circa trentamila camicie nere marciarono su Roma. Tra loro reduci di guerra, militari, patrioti, monarchici e conservatori. Il Re Vittorio Emanuele III da subito si rifiutò di dichiarare lo stato d’assedio e consentì alle camicie nere di sfilare vittoriosamente tra le vie di Roma. San Lorenzo fu l’unico quartiere romano ad accogliere i fascisti a colpi di fucile. Tutti sapevano, compreso Mussolini, che le camicie nere sarebbero state spazzate via in un attimo se il Re avesse deciso l’intervento del Regio esercito. Il capo del fascismo perciò volle fingere di aver preso il potere con la forza e di averlo conquistato sul campo ma la sua ascesa al potere, giuridicamente parlando, avvenne all’interno della legge. Fu il re Vittorio Emanuele III a incaricare Mussolini di formare un nuovo governo, essendo caduto giorni prima il gabinetto Facta.

Tecnicamente non si trattò dunque di rivoluzione, come la propaganda fascista raccontò a lungo e neppure di colpo di stato come la storiografia di sinistra scrisse ma della costituzione di un nuovo governo. Lo Statuto Albertino infatti assegnava al Re il potere di conferire l’incarico di formare un esecutivo. Mussolini pertanto accettò l’incarico conferitogli da S.M. Vittorio Emanuele III e costituì il suo primo esecutivo composto di tredici ministri di cui soltanto tre fascisti; Giovanni Gronchi, terzo presidente della repubblica italiana, fu nominato sottosegretario all’Industria.