Lavoratori italiani stressati e malpagati, ecco la classifica

Poco coinvolti, stressati e soli. Sono i lavoratori italiani secondo l’istantanea dello State of the Global Workplace 2025 di Gallup. Il report ogni anno raccoglie le voci dei lavoratori da tutto il mondo nel tentativo di mappare la percezione di dipendenti e manager rispetto al mondo del lavoro: dal benessere, in ufficio e in fabbrica, alla soddisfazione professionale. Il quadro è preoccupante. In base ai dati raccolti in 160 Paesi, il coinvolgimento dei dipendenti a livello globale è sceso al 21% nel 2024, con la categoria dei manager che ha subito il calo maggiore. L’Italia si colloca tra gli ultimi Paesi quanto a coinvolgimento: appena il 10% degli intervistati si sente partecipe della vita aziendale. Non va meglio sul fronte dello stress con l’Italia che si colloca al quinto posto tra i Paesi europei. A denunciare livelli elevati di stress in ambito lavorativo è il 49% degli intervistati. Peggio di noi solo Cipro, Grecia e Malta mentre i livelli più bassi si registrano in Danimarca, Polonia e Lituania. Il 21% dei lavoratori italiani segnala anche la tristezza tra le emozioni giornaliere provate sul posto di lavoro oltre che la solitudine 13%. Mentre la rabbia è indicata solo dal 9%. Non sorprende quindi leggere nel report che il 37% degli intervistati pensa di lasciare il posto di lavoro. Ma come siamo arrivati ad avere lavoratori tanto insoddisfatti? Una prima risposta arriva dalla fredda statistica. Se si guarda ai salari sono pochi i Paesi a far peggio dell’Italia. In base ai dati del Rapporto mondiale sui salari 2025-26, dell’ILO, l’Organizzazione internazionale del lavoro, dal 2008 abbiamo perso l’8,7% del potere d’acquisto. Fanalino di coda tra i Paesi del G20. In questo quadro va letta anche la fuga di cervelli che da anni impoverisce il capitale umano del Paese. L’audizione di aprile del presidente Istat Francesco Chelli alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla transizione demografica aiuta a capire l’entità del problema. Nel decennio 2013-2022, si legge, «sono costantemente aumentati i giovani italiani che hanno trasferito all’estero la residenza; molto meno numerosi sono stati invece i rientri in patria. In tale periodo, di oltre un milione di cittadini espatriati, un terzo (352mila) aveva un’età compresa tra i 25 e i 34 anni e, tra questi, oltre 132mila (37,7%) erano in possesso della laurea al momento della partenza». I rimpatri di giovani della stessa fascia d’età non reggono però il passo. «Sono stati circa 104mila, di cui oltre 45mila laureati: la differenza tra i rimpatri e gli espatri dei giovani laureati è costantemente negativa e restituisce una perdita complessiva per l’intero periodo di oltre 87mila giovani laureati». corriere.it