Italia batte Scozia, vittoria storica della nazionale azzurra di rugby

C’è chi ride, chi piange, chi fatica a credere che sia tutto vero. È un abbraccio che non finisce mai quello degli azzurri alla fine della battaglia. L’Olimpico canta, Giorgia Meloni applaude in tribuna. L’Italia non vinceva una partita del Sei Nazioni in casa dal 2013, contro l’Irlanda. «Se me la ricordo? Certo, avevo 15 anni ed ero qua» sorride Michele Lamaro, il capitano. È stata una grande partita, giocya da una squadra che non ha paura di nulla, ha coraggio e faccia tosta e ha imparato a resistere e ripartire, a credere in se stessa anche contro l’evidenza. Brutalizzata dal ritmo e dalla qualità degli scozzesi per un bel pezzo di primo tempo, sotto di 12 punti, non si è fatta prendere dal panico, ha solo scrollato le spalle e abbassato la testa per risalire, scalare un muro verticale liscio come il vetro. Fino all’apoteosi, agli ultimi 181 secondi, alle 24 fasi degli scozzesi che non ne volevano saperne di perdere. Settantamila persone si mordevano le labbra mentre gli azzurri respingevano tutto, il gigantesco Van Der Merwe, 5 mete nelle prime tre partite, nessuna ieri, le cariche disperate degli avanti di Scozia. Finn Russell, autodefinitosi il Messi del rugby, cercava spazi che non c’erano. Poi, finalmente, la palla cadeva in avanti e l’australiano Gardner dichiarava la fine delle ostilità: 31-29 per gli azzurri. «Non mi prendo meriti — spiega il c.t. Gonzalo Quesada —, quelli vanno ai giocatori, a tutti gli uomini dello staff. Gente che lavora tanto, che ha una passione incredibile. È una squadra di pazzi con un capitano che è il più pazzo di tutti e un po’ pazzo lo sono anch’io. Ho fatto bene a impegnare tempo per convincerli su quale fosse la strada da seguire e ora sono felice per loro. Sono convinto ci siano ancora margini, questo gruppo ha qualità e leader e so già cosa gli farò vedere domani al video perché possiamo fare meglio, a cominciare da sabato prossimo a Cardiff». Non si prenderà meriti Quesada, ma il suo lavoro, appena iniziato, è già evidente. Ha dato la maglia numero 8 a Vintcent e il ragazzo che studia e gioca a Exter e arrotonda consegnando le pizze, ha fatto un partitone. Ha insegnato alla squadra a rimanere lucida anche in mezzo alla bufera (5 falli commessi contro 12), a scegliere quando colpire e come colpire: due mete su tre sono nate da due calci a scavalcare la linea di difesa. Ha messo in campo Louis Lynagh, figlio del leggendario Michael e di Isabella, trevigiana, e Louis ha segnato — sotto gli occhi di papà — la prima meta del secondo tempo che ha riportato l’Italia a un punto dalla Scozia: «L’allenatore mi ha detto: vai e fai quello che sai fare. È stato magnifico, abbiamo talento, possiamo combattere». Ha cancellato i fantasmi Garbisi. Il suo ultimo calcio a Lille era finito sul palo, e la vittoria possibile si era trasformata in un pareggio. Poteva essere un peso insopportabile, ma l’apertura azzurra ha tanto coraggio. Ieri ha calciato meglio di Russell, realizzando 13 punti e superando un bruttissimo segnale. Sulla prima punizione, la palla cadeva ancora dal supporto, come in Francia, «ma lui è un giocatore vero — spiega Quesada, che è stato apertura con l’Argentina —, può sbagliare ma va oltre e alla fine fa cose decisive». Tutti gli azzurri hanno messo il loro mattone. Capuozzo non ha segnato, ma si è dannato anche in difesa e un suo placcaggio su Van Der Merwe, al quale rende 26 centimetri e 30 chili, è stato meglio di una meta. Come meglio, racconta, è stato vincere a Roma dopo la prima volta di Cardiff: «Con uno stadio così, tutto per noi, è davvero speciale. Abbiamo sofferto, abbiamo rischiato ma non abbiamo mai avuto dubbi: possiamo perdere? Ci dicevamo, no, mai». Forse ieri è davvero nata una nuova Italia, che perderà ancora, ma mai senza lottare fino alla fine. corriere.it