Giustiziato con l’azoto, primo caso al mondo “Esecuzione dura 20 minuti è una tortura”

Kenneth Eugene Smith, 58 anni, è stato giustiziato giovedì alle 20.25 (ora locale dell’Alabama), dopo che l’esecuzione era stata rimandata di alcune ore in attesa dell’esito dell’ultimo appello alla Corte suprema americana.
La sua esecuzione passerà alla storia: per ucciderlo, lo Stato dell’Alabama ha utilizzato un nuovo metodo – l’ipossia da azoto, usata per la prima volta al mondo.
L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Türk si è detto preoccupato «che questo metodo nuovo e non testato di soffocamento con gas azoto possa equivalere a tortura, o a un trattamento crudele, inumano o degradante».
Dopo che la Corte Suprema ha respinto l’ultimo appello, alle 19 ora locale è cominciata nel carcere di Holman la procedura finale. Smith è stato legato al lettino nella camera della morte della prigione di Holmes e costretto a respirare un’alta concentrazione di azoto puro, mentre familiari e testimoni sono stati condotti nella sala che si trova accanto a quella dell’esecuzione. Poco prima di indossare la maschera che gli avrebbe fatto inalare il gas, Smith ha pronunciato le ultime parole: «Stasera l’Alabama – ha detto – fa compiere all’umanità un passo indietro. Me ne vado con amore, pace e luce, vi amo. Grazie per avermi sostenuto, vi amo tutti». Smith ha indicato il cuore con la mano sinistra, mentre la guardia gli ha letto l’ordine d’esecuzione. Lui ha continuato a fare gesti con la mano e dedicato alla famiglia, che stava al di là del vetro, segni d’amore.
La procedura è durata circa 22 minuti. Smith, secondo il resoconto dei testimoni, è rimasto cosciente per «diversi minuti dall’inizio dell’esecuzione» e per i due minuti successivi «tremava e si contorceva sulla barella». Dopo un lungo momento di respirazione profonda, il respiro ha iniziato a rallentare, «fino a quando non era più percepibile dai testimoni dei media».
Alle 8 e 25 minuti della sera è stato dichiarato morto. L’idea di usare il metodo dell’ipossia da azoto — come spiegato qui – è venuta a uno sceneggiatore di film di fantascienza e horror, Stuart Creque, che ha pensato si potessero applicare gli incidenti industriali alle esecuzioni. L’azoto costituisce il 78% dell’aria che respiriamo. L’aumento di questa percentuale diventa però fatale in quanto riduce la quantità di ossigeno: ma già una piccola quantità di aria penetrata nella maschera potrebbe rallentare la morte del condannato.
L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani dal canto suo ha espresso preoccupazione sul fatto che «l’ipossia di azoto possa provocare una morte dolorosa e umiliante» e ha affermato che l’esecuzione con questo metodo «potrebbe equivalere a tortura» o essere «degradante ai sensi del diritto internazionale sui diritti umani».
Smith è stato condannato per aver ucciso nel 1988 Elizabeth Dorlene Sennett, la moglie di un pastore protestante. Il pastore, che si è poi suicidato, voleva entrare in possesso dell’assicurazione sulla vita della moglie, e aveva pagato Smith per ucciderla. Smith era stato condannato, in un primo momento, all’ergastolo, ma un giudice aveva poi impugnato la sentenza, trasformandola nella pena di morte – un passaggio che oggi sarebbe impossibile: nel 2017 l’Alabama ha approvato una legge che impedisce ai giudici di modificare i verdetti delle giurie popolari. Rinchiuso dal 1996 nel braccio della morte, lo scorso anno era sopravvissuto ad una prima esecuzione con iniezione letale. Per tre ore ci avevano provato infilando gli aghi per decine di volte, sulle braccia, sul collo all’altezza della clavicola.
A nulla sono valsi i numerosi appelli per bloccare la pena capitale con un metodo che per vari esperti equivale ad una forma di tortura. L’ultimo era arrivato dall’Alto commissario Onu per i diritti umani: «La pena di morte è incompatibile con il diritto fondamentale alla vita. Non vi è alcuna prova che ciò scoraggi la criminalità. Piuttosto che inventare nuovi modi per attuare la pena capitale, esortiamo tutti gli Stati a mettere in atto una moratoria sul suo utilizzo, come passo verso l’abolizione universale». La maschera d’azoto non era mai stata usata sull’uomo, in medicina veterinaria solo sui suini, ma poi abbandonata per l’alto rischio di non provocare subito il decesso ma ictus e stati vegetativi.
Solleva dunque inquietanti interrogativi sia etici che medico-scientifici. «Possiamo dire che è una modalità di esecuzione di una condanna a morte incerta che potrebbe anche allungare l’agonia», spiega Pasquale Giuseppe Macrì, docente di Medicina legale. «Quando si usa questo genere di maschere si va a sostituire l’ossigeno con l’azoto, un gas inerte, e se viene tolto l’ossigeno e aumentata la quantità di azoto piano piano si vanno a interrompere alcuni processi vitali, intanto si crea una barriera negli scambi tra polmone e sangue, i polmoni si riempiono d’azoto, ma – osserva Macrì – serve del tempo perché prima si deve consumare tutto l’ossigeno già legato all’emoglobina, poi serve il tempo perché i tessuti hanno resistenze diverse. Magari muore prima il rene, poi il cervello e poi il cuore». «Ma c’è anche un tema economico nella scelta dell’azoto, le case farmaceutiche non forniscono più i farmaci per le iniezioni letali perché non vogliono associare il marchio a queste procedure. Ecco che le autorità devono trovare altre strade». corriere.it