Giornata mondiale della risata, ecco perché ridere fa bene alla salute

Ridere fa bene a corpo e mente. Lo hanno dimostrato negli anni numerosi studi scientifici. La risata agisce non solo sul buonumore, ma anche sul sistema immunitario, sulla memoria, migliora il sonno e allunga la vita poiché, si è visto, agisce sulla longevità. In occasione della Giornata mondiale della risata che ricorre il 5 maggio, scopriamo insieme a Claudio Mencacci, psichiatra e presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia come e perché i genitori dovrebbero insegnare l’arte di ridere ai propri figli. «Pablo Neruda ha detto che la risata è il linguaggio dell’anima. Questo ci fa capire come tutta la nostra vita sia accompagnata da questa emozione profonda – continua Mencacci -. Ridere nella prima infanzia prevede un’azione imitativa, grazie allo sviluppo dei neuroni a specchio. Sono proprio questi che riescono a farci sentire empatia e connessione con gli altri. Quando in un gruppo vediamo qualcuno ridere, ci viene spontaneo farlo a nostra volta, anche nei casi in cui ignoriamo il motivo di quelle risate. Questo perché si attiva nel cervello un meccanismo automatico che fa presupporre vi sarà una ricompensa. Si mette infatti in moto un meccanismo biologico attraverso cui si liberano endorfine, dopamine e ossitocina. Questi neurotrasmettitori rafforzano il legame tra le persone e aumentano al contempo il piacere di stare insieme». La risata è contagiosa e ridere insieme è una spinta per costruire legami sociali. «Anche i legami amorosi sono scanditi dal riso: l’inizio della relazione è segnata dalle risate condivise, così come la fine di un amore è caratterizzato dal non farlo più insieme – sottolinea Mencacci -. Ridere crea connessione, vicinanza, mette in moto il nostro cervello sociale e attiva sintonia emotiva. Esiste un umorismo condiviso che varia da una zona all’altra del mondo, poiché è fortemente influenzato dalla cultura. Eppure esiste il detto: “il riso abbonda sulla bocca degli stolti”, che associa la risata ad un senso di superficialità e banalità. Mentre i genitori dovrebbero insegnare a ridere ai propri figli fin da piccoli. È importante per lo sviluppo emotivo, per scaricare ansia e paure ed è la forma della nostra comunicazione emotiva. La risata aiuta i bambini a creare gruppo, a fare amicizia a costruire legami e al contempo è alla base dell’apprendimento». «Un bambino più sereno impara più facilmente e crea un modo di pensare più flessibile. Questo gli permette di trovare soluzioni nuove, essere ironico e auto-ironico, sviluppare emozioni positive e creare una memoria emotiva altrettanto positiva che lo incoraggia. Lo aiuta a guardare al futuro con occhi sereni. Saper ridere, infatti, permette di sviluppare una certa resilienza, in grado di costruire prospettive. Al contrario, se il cervello vede solo negatività si ferma, sceglie informazioni che lo portano a percepire solo difficoltà. Resilienza vuol dire che da grande il bambino avrà l’opportunità di vivere anche i momenti duri con più leggerezza, per trovare soluzioni migliori e saper sorridere anche nelle giornate buie. È questo il senso della resilienza: aiuta non solo nell’evoluzione emotiva, ma anche nella salute mentale e cognitiva. Ecco perché bisogna stimolare la risata nei bambini». È importante che i bambini siano incoraggiati a ridere. Questo non vuol dire forzarli né invitarli alla superficialità, ma addestrarli a saper cogliere lievità e trovare sollievo nei momenti difficili. «Si possono stimolare con i giochi o attingere alla loro capacità di fantasticare, creando storie anche di non senso. I bambini amano i travestimenti, che possono essere improvvisati con indumenti presenti in casa. Tutto questo è importante anche per abbassare il loro senso di timidezza e stimolare la loro creatività. La risata genera un clima di sicurezza e accettazione, in cui il bambino si sente libero e accolto e in cui può superare l’errore senza vergogna. Al contrario, sentirsi criticato e giudicato quando sbaglia lo amareggia molto. Ridere è il filo conduttore per creare empatia verso l’altro», conclude. corriere.it