Ghiacciolo, ecco la storia del gelato inventato in una fredda notte d’inverno

Si chiamava Frank Epperson, aveva 11 anni ed era di Oakland, California. Una fredda, anzi, si potrebbe dire, ghiacciata notte del 1905 inventò… Il ghiacciolo. Non ci furono mesi di studi, analisi chimiche, provette e ricette sperimentali. Tutto nacque per caso. Prima di andare a dormire, Epperson lasciò sul davanzale della sua finestra un bicchiere con dentro dell’acqua, della soda e il bastoncino che aveva usato per mescolarle. Al mattino, si svegliò con la sorpresa per cui gli amanti del genere lo ringraziano ancora oggi, il ghiacciolo appunto. Lo staccò dal bicchiere con dell’acqua calda, provò ad assaggiarlo e si accorse che, in effetti, non era niente male. Un po’ la giovane età, un po’ la sorpresa che provò sul momento, a Epperson non venne in mente subito di costruire un business sul suo ghiacciolo.
Nel 1923 Epperson lavorava come agente immobiliare, aveva una vita tranquilla, ma spesso ripensava al dolce esperimento. Un giorno prese coraggio e decise di presentare il suo Epsicle, fusione del suo cognome, Epperson e della parola icicle, stalattite, pezzo di ghiaccio, a degli amici durante una festa organizzata per i figli. Da lì, si rese conto di poter puntare in alto. L’anno successivo ottenne il brevetto per la sua invenzione, l’idea del “ghiaccio sul bastoncino” appunto, che iniziò a chiamarsi popsicle, secondo alcuni, su suggerimento dei figli di Epperson. Nel brevetto, Epperson fornì indicazioni anche sul legno ideale da utilizzare per lo stecco: betulla, pioppo, o tiglio. Nel 1925, la Joe Lowe Corporation acquistò l’azienda di Epperson che, com’è facile immaginare, potè scegliere di trascorrere il resto della propria vita a godersi la sua deliziosa invenzione. Con l’arrivo della Grande Depressione negli Stati Uniti, l’azienda lanciò un ghiacciolo con un doppio bastoncino, facile da dividere in due, per convincere anche gli americani meno abbienti a concedersi un “drink su uno stecco”, come recitava la pubblicità dell’epoca. Il prezzo era di 5 centesimi e il doublepop ebbe grande successo fino alla fine degli anni Ottanta.
Gli italiani dovettero aspettare fino al secondo dopoguerra per poter acquistare un ghiacciolo, importato probabilmente dagli Alleati, come, pare, anche la pasta alla carbonara. Negli anni Cinquanta, in Emilia Romagna, una delle regioni che poi trainarono la rivoluzione del cibo industriale in Italia, il ghiacciolo confezionato aveva un nome molto diverso da quello di oggi. Nella zona del modenese si chiamava Bif, dall’acronimo dei cognomi dei tre soci titolari dell’azienda (Braglia – Iori – Fornaciari) che li produceva. Per lo stesso motivo, a Bologna il ghiacciolo ai suoi albori era invece chiamato Cof, dal nome della ditta Cavazzoni Orlando e Fratello che aveva sede nel capoluogo. Prima di una vera e propria diffusione dei metodi industriali, i ghiaccioli venivano prodotti in piccole botteghe artigianali, colati negli stampi uno a uno usando una brocca, congelati in armadi frigorifero a ghiaccio secco e confezionati a mano. Lo “stecco premio” rappresentò il punto di svolta della storia dei ghiaccioli nella Penisola. Si trattava di una sorta di concorso lanciato dalla Cof per i consumatori: ogni 12 ghiaccioli prodotti, ce n’era uno vincente che dava diritto a riceverne uno in omaggio. Tra i gusti dell’epoca, solo alcuni sono famosi ancora oggi: ciliegia, arancia, cedro, menta, limone e tamarindo. Negli anni Ottanta in Italia si producevano circa 122.000 ghiaccioli al giorno e nel 1991 l’azienda bolognese Cavazzoni Orlando e Fratelli chiuse i battenti, lasciando spazio agli ormai affermati prodotti Algida, Sammontana, Motta, Sanson ed Eldorado. Queste ultime due non esistono più, la prima è stata acquisita da Sammontana nel 2008, mentre la seconda dal marchio Algida, che oggi vende ancora alcuni dei prodotti lanciati sule mercato dalla stessa Eldorado: il Calippo, per esempio, o il Liuk, ex “Lemonissimo”. Le ultime tendenze hanno riportato sul mercato i ghiaccioli artigianali, che si trovano spesso in bella mostra nei piccoli frighi delle gelaterie. La sempre maggiore attenzione del cliente per prodotti naturali, con meno zuccheri e meno conservanti, ha fatto sì che i coloranti abbiano lasciato spazio alla frutta fresca, o almeno che l’offerta si sia diversificata. Nel reparto surgelati dei supermercati restano ancora alcuni dei ghiaccioli più famosi degli anni Ottanta e Novanta, a ricordarci il beat dell’infanzia, il rimedio della nonna contro il mal di gola e l’eterna e irrisolta battaglia fra menta e fragola. corriere.it