“Facebook andrebbe chiuso. I social sono per le persone frustrate”

Psichiatra, scrittore, già direttore del dipartimento di psichiatria di Verona, membro della New York Academy of Sciences, Vittorino Andreoli ha raccontato di sé, del suo mestiere e della società in una intervista rilasciata a Il Giornale.

Andreoli fa ricerche chiave sulla serotonina assieme alle migliori teste di Cambridge e Harvard, sviscera i casi criminali più agghiaccianti, sostiene la teoria secondo cui omicidio e normalità possono convivere nella stessa persona. E ancora, studia perennemente la via per entrare nella mente umana e pubblica 56 libri, di cui l’ultimo pochi mesi fa, ‘Il silenzio delle pietre’. Lo psichiatra punta il dito contro i social network (e, in generale, contro i simulacri del virtuale), vero e proprio male del nostro tempo.

«Facebook andrebbe chiuso. Lì abbiamo perso l’individualità, crediamo di avere un potere che è inesistente. L’individuo non sta nelle cose che mostra ma in ciò che non dice. Invece i social ci spingono a dire tutto, ci banalizzano. I social sono un bisogno di esistere perché siamo morti. Creano una condizione di compenso per le persone frustrate […] Quando non si sa più distinguere tra virtuale e reale è pericoloso. Si estende l’apprendimento virtuale nella propria casa, nella propria vita».

«I social network sono un pericolo anzitutto per i giovanissimi, i cosiddetti ‘millennials’. Io sono molto preoccupato. Non siamo più capaci di aiutarli […] Mancano gli esempi dei padri che, a loro volta, hanno bisogno di non essere frustrati. Il male non è mai singolo. C’è qualcosa che non funziona a livello sociale».

Andreoli nel suo ultimo libro, ‘Il silenzio delle pietre’, elogia la solitudine come unica via per cercare se stessi.

«Non siamo mai soli oggi. Siamo intossicati da rumori, parole, messaggi e tutto ciò che occupa la nostra mente nella fase percettiva. Il bisogno di solitudine è una condizione in cui poter pensare ancora. Oggi sono morte le ideologie, è morta la fantasia. Siamo solamente dei recettori. Ho proiettato il libro nel 2028, un giochetto per poter esagerare certe condizioni, un po’ come fece Orwell nel ’49 quando scrisse 1984. Io immagino che ci sia un acuirsi della condizione di oggi per cui noi siamo solo in balia di un empirismo pauroso, dove facciamo le cose subito, senza pensarci».