Edith Stein, dalla conversione ad Auschwitz

di Giuseppe D’Onorio*

La ricerca della verità, anzi “La sete della verità” è il programma di vita di Edith Stein, ebrea e agnostica, femminista ante litteram, filosofa ma anche teologa e mistica, monaca e martire della persecuzione razziale: una pagina drammatica della storia del XX secolo.

Giuseppe D’Onorio

Accostandosi alla figura di Edith Stein come filosofa, emerge immediatamente la sua aderenza all’indagine fenomenologica, che Edmund Husserl aveva presentato con il testo Ricerche Logiche (1901). La giovane studiosa era rimasta affascinata, come del resto tanti altri suoi coetani, dal nuovo concetto di verità manifestato dalla Fenomenologia: il ritornare “alle cose”, alle essenze dei dati di fatto che cadono sotto la nostra esperienza.

Alla scuola di Husserl, la Stein imparò a relazionarsi con la realtà senza preconcetti e questa apertura la farà gradualmente avvicinare alla fede e alla filosofia cattolica, in particolare alla Scolastica, con l’analisi del pensiero di S. Tommaso d’Aquino. Non abbandonò mai la sua formazione che la portava ad indagare la realtà in chiave fenomenologica, anzi cercò di coniugare il metodo di Husserl con il tomi- smo; lo fece nel saggio La Fenomenologia di Husserl e la filosofia di Tommaso d’Aquino, tentativo di confronto. Edith Stein vide nei due pensatori «lo spirito dell’autentico filosofare che vive in ogni vero filosofo, cioè in colui che una interna necessità spinge irresistibilmente a rintracciare il logos o la ratio di questo mon- do». Il suo capolavoro resta Essere finito ed Essere eterno (1936), opera imponente, quasi una nuova ontologia, sintesi di filosofia e fede.

In Edith Stein il passaggio da una visione agnostica alla conversione al cattolicesimo avvenne gradualmente. Fu Max Scheler, aggiuntosi più tardi al circolo di Husserl, a esercitare influenza sulla giovane filosofa.

La Stein scriverà di lui: «aveva molte idee catto- liche e sapeva divulgarle facendo uso della sua brillante intelligenza e abilità linguistica. Fu così che venni per la prima volta in contatto con un mondo che fino ad allora mi era stato com- pletamente sconosciuto. Ciò non mi condusse ancora alla fede, tuttavia mi dischiuse un campo di “fenomeni” dinanzi ai quali non potevo più essere cieca… I limiti dei pregiudizi razionalistici nei quali ero cresciuta senza saperlo, caddero, e il mondo della fede comparve improvvisa- mente dinanzi a me».

Alcune figure di donne ebbero un significato particolare e decisivo nella vita della Stein: la madre, la vedova Reinach, la popolana, l’amica Conrad-Martius e Teresa d’Avila.

La madre, Auguste Courant, sposata con Siegfried Stein, una volta rimasta vedova portò avanti l’azienda del marito che commercia- va in legname, ma non venne mai meno alla cura della famiglia e all’educazione dei suoi ben 11 figli. Edith, ultimogenita, alla morte del padre non aveva ancora compiuto due anni. Era nata il 12 ottobre 1891.

La madre dalle forti radici ebraiche trasmi- se ai figli la fede nel Dio d’Israele e un forte rigorismo morale. Edith negli anni giovanili, pieni di soddisfazioni per i brillanti risultati scolastici, perse la fede e in «piena coscienza e libera scelta” smise di pregare. Iniziò ad in- teressarsi di problemi riguardanti le donne ed entrò a far parte dell’Associazione Prussiana per il Diritto Femminile al Voto. Allo scop- pio della prima guerra mondiale frequentò un corso d’infermiera e prestò servizio, come volontaria, in un ospedale militare austriaco.

Dopo la prima guerra mondiale la Germania attraversò una grande crisi economica ed anche il circolo fenomenologico ebbe un disorientamento; tutto ciò indusse Edith ad una profonda riflessione sul senso della storia e dell’esistenza individuale. Anche la morte di Adolf Reinach, maestro, amico e confidente turbò l’animo della Stein. Ella rimase accanto alla vedova Anna Reinach per classificare le carte del filosofo in vista della pubblicazione e fu affascinata dall’atteggiamento di Anna, che dalla contemplazione della crocifissione di Cristo trasse la forza per superare il dolore della morte del marito. È in questa esperienza di sofferenza che Edith sperimentò l’empatia, cioè l’attitudine di immettersi e cogliere il mondo interiore dell’altro; quell’empatia che era stata oggetto di tesi di laurea della studentessa Stein che le consentì, il 3 agosto 1916, di ottenere il dottorato in filosofia all’Università di Friburgo in Brisgovia.

Il ritorno ad una visione religiosa della vita, ormai, era avvenuta in Edith; solo la scelta tra il Protestantesimo e il Cattolicesimo la teneva in sospeso. Fu la vista di una popolana con la cesta della spesa, che entrò nel Duomo di Francoforte, per soffermarsi in una breve preghiera, a rimanere bene impressa nella sua mente e nel suo cuore. «Ciò fu per me – scriverà più tardi la Stein – qualcosa di completamente nuovo. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti, che ho frequentato, i credenti si recano alle funzioni. Qui però entrò una persona nella chiesa deserta, come se si recasse ad un intimo colloquio. Non ho mai potuto dimenticare l’accaduto».

Continuò a svolgere la sua attività di ricerca filosofica e a scrivere articoli a giustificazione della psicologia e delle altre discipline umanistiche. Lesse il Nuovo Testamento, le opere di Søren Kierkegaard e di S. Ignazio di Loyola.

Nell’estate del 1921, Edith si recò per alcune settimane a Bergzabern, nella tenuta di Hedwih Conrad-Martius, sua amica e anch’essa discepola di Husserl. Una sera la Stein trovò nella biblioteca di casa l’autobiografia di Teresa d’Avila. La lesse per tutta la notte finché non l’ebbe finita. Quando richiuse il libro disse: «Questa è la verità». L’aveva cercata a lungo e l’aveva trovata nel mistero della Croce di Cristo; aveva scoperto che la verità non è un’idea, un concetto, una filosofia, ma una persona, anzi la Persona per eccellenza.

Così la giovane filosofa ebrea, la brillante assistente di Husserl, il 1° gennaio del 1922 ricevette il Battesimo aggiungendo al suono nome quello di Teresa. A farle da madrina fu l’amica Hedwig Conrad-Martius, che scrisse: «Quando la Stein fu da noi l’ultima volta per più mesi ci trovammo entrambe in una crisi religiosa. Camminavamo vicinissime l’un l’altra come su una sottile cresta di montagna, ognuna pronta in ogni momento ad una chiamata divina, che si presentò, in effetti, anche se ci condusse in direzioni confessionali diverse. Si trattava di decisioni nelle quali la libertà ultima dell’essere umano, quella che lo nobilita a persona nel disegno della creazione, si collega reciprocamente anche se in modo non decifrabile agli occhi umani, con la chiamata di Dio a cui si deve prestare ascolto».

La conversione al cattolicesimo fece riscoprire a Edith Stein la sua appartenenza al popolo ebraico. È la stessa filosofa che lo spiega: «Avevo cessato di praticare la mia religione ebraica e mi sentivo nuovamente ebrea solo dopo il mio ritorno a Dio».

Su insistenza dell’arciabate dell’abbazia benedettina di Beuron, Raphael Walzer, intraprese lunghi viaggi per svolgere delle conferenze sul ruolo della donna nella società. In questa abbazia tornava spesso per trascor- rere le maggiori festività dell’anno liturgico e per ritrovare quella spinta interiore che poi portava con sé quando andava a tenere relazioni.

Intanto in Germania, dopo che Hitler prese il potere nel 1933, si iniziò ad attuarsi una politica antisemita e il 7 aprile 1933 venne emanata la “Legge per il rinnovo dell’amministrazione pubblica”, che prevedeva il licenzia- mento dagli uffici pubblici per tutti coloro che erano di origine ebraica. E così anche l’attività di insegnamento della Stein venne meno ed ella si rese subito consapevole del pericolo che rappresentava il nazismo non solo per il popolo ebraico, ma anche per quello tedesco e per la Chiesa.

Il 12 aprile 1933, dopo soli due mesi di governo hitleriano, Edith Stein, come figlia del popolo ebraico, ma da 11 anni anche della Chiesa cattolica, scrisse a Pio XI per chiedergli di non tacere di fronte ad un governo, quello nazista, che si definiva “cristiano”, ma che in realtà tale non lo era; con la sua idolatria della razza e del potere dello Stato stava sterminando il popolo ebraico e la stessa cristianità. Oramai si capiva il pericolo che anche la Stein correva e per questo motivo le venne offerto una cattedra in Sudamerica, ma lei rifiutò in quanto voleva legare la sua sorte a quella del suo popolo.

Andò avanti con le sue attività di studio, ma la ricerca della Verità, quella che ha anche “l’anima”, portò Edith a non rimandare più il suo desiderio di entrare in un convento carmelitano. Scelse, così, quello di Colonia. Per prendere commiato dalla famiglia si recò di nuovo a Breslavia, ma la madre non accettò la decisione della figlia, le sembrò un tradimento delle origini ebraiche. Edith scelse la sua strada. «Quello che lasciavo dietro di me era troppo terribile. Ma io ero calmissima, nel porto della volontà di Dio». Ogni settimana scriverà una lettera alla madre, ma non riceverà risposte. La sorella Rosa le manderà notizie da casa.

La morte della madre Auguste avvenne il 14 settembre del 1936 ed Edith scriverà: «Fino all’ultimo momento mia madre è rimasta fedele alla sua religione… ho fiducia che ha trovato un giudice molto clemente e che ora è la mia più fedele assistente, in modo che anch’io possa arrivare alla meta».

Divenuta carmelitana, assunse il nome suor Teresa Benedetta della Croce. Nel con- vento di Colonia a Edith Stein fu concesso il permesso di dedicarsi alle opere scientifiche. Fra l’altro scrisse in quel luogo Dalla vita di una famiglia ebraica, tesa a dimostrare come gli ebrei non fossero il cancro della vita tedesca, come la propaganda nazista sosteneva, ma vivessero pienamente integrati nella società, costituendone una parte vivissima. Negli ultimi anni la filosofa suor Teresa Benedetta della Croce si rivolse in modo privilegiato a scritti di spiritualità, di cui il più importante è la Scienza della Croce, studio sull’opera di Giovanni della Croce.

Purtroppo il dramma della persecuzione semitica stava per abbattersi barbaramente anche su Edith Stein. Nel 1938 venne accolta nel Carmelo di Echt in Olanda, dove si pensava che potesse essere un luogo più sicuro; qui, nel 1940, la raggiunse la sorella Rosa.

La deportazione degli ebrei arrivò, pur- troppo, anche in questa terra e inutile fu la lettera pastorale dei vescovi cattolici olandesi, del 26 luglio 1942, che disapprovava la politica antisemitica dei nazisti. Il 2 agosto 1942 le sorelle Stein vennero prelevate dalla Gestapo dal loro convento e deportate prima nel campo di Amersfort e poi in quello di Westerbork. Edith difronte al dramma che stava vivendo il suo popolo scrisse: «Che gli esseri umani potessero arrivare ad essere così, non l’ho mai saputo e che le mie so- relle e i miei fratelli dovessero soffrire così, anche questo non l’ho veramente saputo… in ogni ora prego per loro. Che oda Dio la mia preghiera? Con certezza però ode i loro lamenti».

Il 7 agosto Edith Stein e la sorella Rosa vennero fatte salire su un treno che le portò, con altre 1200 persone, a Auschwitz. I deportati arrivarono il 9 agosto e subito vennero selezionati: solamente 165 uomini, dai 17 ai 50 anni, furono scelti per essere utilizzati in attività lavorative. Tutti gli altri, tra cui Edith e la sorella Rosa, vennero avviati presumibilmente alla camera a gas. Edith non aveva ancora compiuto 51 anni.

Teresa Benedetta della Croce è stata canonizzata dalla Chiesa cattolica nel 1998 e proclamata copatrona d’Europa. Se avesse potuto continuare le sue ricerche e creare un movimento di pensiero, com’era nella sua indole, ci avrebbe lasciato altre significative pagine sull’Amore per la Verità, sulla tolleranza e sulla solidarietà in quanto «per i cristiani – e non solo per loro – nessuno è straniero. L’amore di Cristo non conosce frontiere».

*Già sindaco di Veroli