È morto Eugenio Scalfari

Eugenio Scalfari , 98 anni, è morto giovedì 14 luglio. Il giornalista e scrittore, fondatore del quotidiano la Repubblica, era considerato tra le firme più prestigiose della stampa italiana. Nato a Civitavecchia, Scalfari è stato anche deputato tra 1968 e 1972 — eletto come indipendente, nelle liste del PSI — e ha partecipato alla nascita del Partito Radicale. Nel corso degli anni, ha scritto anche per il Mondo, l’Europeo e l’Espresso (che ha contribuito a fondare). Con l’addio di Eugenio Scalfari, scomparso all’età di 98 anni, il giornalismo italiano perde una delle sue figure di maggior rilievo in assoluto. Sempre al centro di discussioni e polemiche, è stato l’inventore di un nuovo modo, più diretto e avvincente, di raccontare la politica e l’economia, senza paura di schierarsi in modo netto quando lo riteneva opportuno. Per questo la sua creatura più importante — il quotidiano la Repubblica, fondato nel 1976 — è stata spesso descritta come un «giornale-partito», per la perseveranza e l’aggressività con cui conduceva sotto la sua guida alcune battaglie di enorme importanza per gli equilibri delicati dell’Italia repubblicana. Sul piano culturale Scalfari si collocava nell’ambito della sinistra laica. Da giovane, come aveva raccontato nel famoso libro di memorie La sera andavamo in via Veneto (Mondadori, 1986) si era formato nell’ambiente liberaldemocratico, con venature azioniste, che ruotava intorno al settimanale Il Mondo, diretto da Mario Pannunzio, sul quale scrivevano due grandi personaggi molto lontani tra loro, Benedetto Croce e Gaetano Salvemini. La politica e le scelte editoriali In politica era stato esponente del Partito radicale negli anni Cinquanta, ma più avanti aveva avuto notevoli contrasti con Marco Pannella.  L’unica breve esperienza parlamentare di Scalfari era stata nelle file socialiste, ma poi era stato un avversario strenuo di Bettino Craxi, che lui aveva paragonato al fuorilegge medievale Ghino di Tacco. Aveva intrecciato un dialogo costante con il Partito comunista, specie ai tempi di Enrico Berlinguer, nell’intento di favorirne l’occidentalizzazione, che aveva dato per compiuta forse con troppo anticipo. Illuminista di vecchio stampo, dichiaratamente libertino sul piano filosofico e per certi aspetti anche anticlericale, coltivava tuttavia una propria acuta sensibilità spirituale e aveva trovato un interlocutore disponibile in Papa Francesco. Penna vivace e a volte fluviale, conversatore brillante e salace, uomo amante della musica (suonava il pianoforte), Scalfari aveva notevolissime doti manageriali e sapeva valorizzare i talenti giornalistici delle sue testate, che dirigeva con piglio dinamico quanto paternalistico. Quando lui era giunto al timone, L’Espresso aveva ottenuto risultati lusinghieri. Con la Repubblica aveva dato vita a un prodotto senza dubbio innovativo, che dopo le difficoltà iniziali si era dimostrato in grado di rivaleggiare da pari a pari con quotidiani di consolidata tradizione storica. Nato il 6 aprile 1924 a Civitavecchia, cittadina della quale era originaria la madre, Scalfari si trasferisce da ragazzo per tre anni con la famiglia a Sanremo, dove il padre, calabrese di Vibo Valentia, lavora al casinò: nella città ligure frequenta il liceo e il futuro scrittore Italo Calvino è il suo compagno di banco. Dopo l’esperienza giovanile a Roma nei Gruppi universitari fascisti, da cui viene espulso nel 1943 alla vigilia della caduta del regime di Benito Mussolini, si colloca su posizioni liberali. Si laurea in Giurisprudenza nel 1945, poco dopo la fine della guerra. Da impiegato alla Banca nazionale del lavoro, dove viene assunto all’ufficio estero nel 1947, Scalfari muove i primi passi come giornalista, collaborando con due settimanali di grande prestigio: Il Mondo di Pannunzio, già menzionato, e L’Europeo, diretto da Arrigo Benedetti. Nel 1954 sposa Simonetta De Benedetti, figlia del direttore della Stampa Giulio De Benedetti, dalla quale ha due figlie: Enrica e Donata. Più avanti, senza mai divorziare dalla moglie, si legherà sentimentalmente a Serena Rossetti, che sposerà dopo la morte di Simonetta, avvenuta nel 2006. Nel 1955 Scalfari aderisce al Partito radicale, nato da una scissione a sinistra dei liberali guidati dal moderato Giovanni Malagodi: tra i dirigenti del nuovo raggruppamento ci sono personalità del prestigio di Nicolò Carandini, Ernesto Rossi, Leo Valiani, Mario Pannunzio. Sempre nel 1955 fonda assieme ad altri, con l’appoggio economico dell’imprenditore illuminato Adriano Olivetti, il settimanale L’Espresso, di cui diventa direttore amministrativo, mentre il direttore responsabile è Arrigo Benedetti. Poi nel 1963 Scalfari subentra alla guida giornalistica del periodico, di cui è divenuto anche azionista, e lo porta a grossi traguardi di diffusione. Nel 1967 L’Espresso, con una serie di articoli firmati da Lino Jannuzzi, attacca il generale Giovanni De Lorenzo, capo di stato maggiore dell’esercito ed ex comandante del servizio segreto militare Sifar, sospettato di precedenti manovre golpiste quando era al vertice dei carabinieri (il cosiddetto «piano Solo»). Scalfari e Jannuzzi sono querelati da De Lorenzo e condannati in primo grado, benché il pubblico ministero Vittorio Occorsio (che anni dopo sarebbe stato assassinato dal terrorismo nero) avesse chiesto l’assoluzione. Eletto deputato socialista nel 1968 in conseguenza di queste vicende, Scalfari abbandona la direzione dell’Espresso, ma conserva l’incarico amministrativo: rimane alla Camera una sola legislatura, fino al 1972.  Nel 1974 pubblica con Giuseppe Turani il libro Razza padrona (Feltrinelli), in cui prende di mira alcuni esponenti molto in vista del potere economico legati anche alla politica, in particolare il presidente della Montedison Eugenio Cefis. Nel 1976 Scalfari fonda il nuovo quotidiano la Repubblica, di cui assume la direzione, e nel giro di pochi anni riesce a imporlo come uno dei più influenti e popolari organi di stampa del nostro Paese: dopo un avvio in sintonia con i socialisti, il giornale si avvicina al Pci di Berlinguer, di cui Scalfari raccoglie in una famosa intervista la presa di posizione sulla «questione morale», dopo il tramonto della strategia del compromesso storico. Critico verso il leader del Psi Bettino Craxi e favorevole al segretario democristiano Ciriaco De Mita, Scalfari negli anni Ottanta diventa un protagonista assoluto della vita pubblica, mentre il controllo del gruppo editoriale Espresso, che comprende anche la Repubblica, passa alla casa editrice Mondadori. Nel 1989 scoppia il conflitto tra l’imprenditore piemontese Carlo De Benedetti e il magnate delle tv private Silvio Berlusconi per il controllo della Mondadori. Scalfari si schiera nettamente dalla parte del primo: la disputa dura fino al 1991, quando si arriva a una spartizione che assegna il gruppo Espresso a De Benedetti e il resto della Mondadori a Berlusconi. In seguito la Repubblica sarà capofila dell’opposizione al proprietario della Fininvest come leader politico con punte anche di notevole asprezza nella contesa. Nel 1996 Scalfari lascia la direzione del quotidiano da lui fondato, ma continua regolarmente a scrivere i suoi autorevoli editoriali. Si fa più intensa la sua attività di saggista e scrittore. Dopo La sera andavamo in via Veneto, che resta il libro più noto e meglio riuscito da lui firmato, pubblica testi di riflessione filosofica sui grandi temi della vita e dell’etica, come Incontro con Io (Rizzoli, 1994) e Alla ricerca della morale perduta (Rizzoli, 1995), quindi i romanzi Il labirinto (Rizzoli, 1998) e La ruga sulla fronte (Rizzoli, 2001). I suoi libri più recenti hanno un taglio autobiografico e intimistico: L’uomo che non credeva in Dio (Einaudi, 2008); Per l’alto mare aperto (Einaudi, 2010); Scuote l’anima mia Eros (Einaudi, 2011); L’amore, la sfida il destino (Einaudi, 2013); L’allegria, il pianto, la vita (Einaudi, 2015). Un analogo taglio hanno le confidenze di varia natura riversate da Antonio Gnoli e Francesco Merlo nel volume Grand Hotel Scalfari (Marsilio, 2019). I testi relativi alla sua interlocuzione con Papa Francesco sono raccolti nel libro Dialogo tra credenti e non credenti (Einaudi, 2013). corriere.it