Concorsi, da brigatista rossa a dirigente ASL

«Per quei fatti ho pagato tutto. E ampiamente». Parole nette e chiare. Dall’altra parte del telefono, nell’ufficio che da un mese dirige alla Asl di Novara, c’è una donna di 63 anni, Ivana Cucco, laureata con 110 e lode in medicina — una tesi sull’ipertensione in gravidanza — che negli anni Settanta fu la compagna di Walter Alasia, brigatista rosso. Anche la dottoressa Cucco è stata una militante delle Brigate Rosse. Lo certifica una condanna della Corte di Cassazione — risalente al 4 novembre 1986 e la firma è quella del giudice Corrado Carnevale — che le inflisse una pena di quattro anni e sei mesi per rapina e banda armata. Se la sua storia ora riemerge dal passato è perché la «Prealpina», quotidiano del Varesino, ha riportato la notizia che la dottoressa un mese fa ha vinto, non senza polemiche, un concorso interno presso l’azienda sanitaria dalla quale era stata assunta nel 1989. Ed è diventata direttore del «Servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro». Stipendio lordo da dirigente statale pari a 106.206 euro, una qualifica «da ufficiale giudiziario» che sottolinea con puntiglio. La donna venne arrestata due volte: la prima all’indomani della morte di Alasia e subito rilasciata. E la seconda per una rapina in un circolo culturale di Milano, dove lasciò volantini «inneggianti alle Bierre», per cui scattò la condanna in giudicato.

Quarant’anni dopo, le due vite vissute dalla dottoressa Cucco — quella del prima e quella del dopo — paiono aver viaggiato su binari opposti. «Sull’oggi parla il mio lavoro, una laurea — dice — con il massimo dei voti, un curriculum costantemente arricchito e pubblicato nella massima trasparenza sul sito della Asl, informata da subito del mio passato e di questa storia che ogni tanto riaffiora». Da una parte le carte giudiziarie degli anni in bianco e nero, quando Ivana Cucco aveva un nome di battaglia — quello di «Rita» —, reclutava militanti, custodiva dossier su carceri di sicurezza, faceva rapine a mano armata «immobilizzando i presenti e impossessandosi di danaro». Dall’altra un percorso professionale avviato trent’anni fa — più o meno sempre nella prevenzione — dopo l’ottenimento, e scontata la pena, del certificato di riabilitazione. Poi la carriera, le ricerche sul rischio tumore in certe aziende piemontesi, gli interventi sui cantieri delle «morti bianche». E la passione per il podismo raccontata nelle foto su Facebook. Non vuole parlare di Alasia — che in seguito divenne il nome della colonna milanese delle Brigate Rosse, autonoma e persino più violenta delle altre—, «il più bello degli incontri, quello che ancora oggi mi porto dentro» testimoniò poi in aula. La conversazione si chiude così: «Uno quando ha saldato i suoi conti dopo quarant’anni dovrebbe essere lasciato in pace». corriere.it