Cadeva 27 anni fa il muro di Berlino

[one_third]Muro[/one_third] Esattamente ventisette anni fa cadeva il muro di Berlino. Eretto il 13 agosto 1961, per ventotto tristi anni ha tagliato in due non soltanto una città e una nazione ma il mondo
intero. E’ stato a lungo il simbolo della divisione tra il blocco atlantico e quello sovietico. Ha crudelmente segnato il destino di molte famiglie e di molte vite umane. Non solo a Berlino ma in tutta la Germania il confine tra est ed ovest diventò una trappola mortale. I soldati sovietici ricevettero l’ordine di sparare puntualmente lungo la zona di confine che con gli anni fu attrezzata con dei macchinari sempre più terrificanti, con mine antiuomo, filo spinato alimentato con corrente ad alta tensione e addirittura con degli impianti che facevano fuoco automaticamente su tutto quello che si muoveva nella cosiddetta striscia della morte. Il muro era lungo precisamente centosei chilometri e alto circa tre metri e mezzo. I berlinesi orientali vivevano nel terrore. Moltissimi provavano a fuggire e a raggiungere la Repubblica Federale Tedesca.

Berlino Ovest significava libertà, ricchezza, benessere, libera iniziativa economica.
Al contrario Berlino Est, la Repubblica Democratica Tedesca (di democratico vantava ben poco) e il blocco sovietico significavano abolizione delle libertà fondamentali e della proprietà privata, azzeramento dell’individuo in quanto tale, presenza opprimente dello stato nella vita dei cittadini e controllo continuo da parte dei servizi segreti. In particolare nella Germania dell’est questo compito era svolto dal Ministerium für Staatssicherheit, meglio noto come Stasi, organizzazione di spionaggio e sicurezza della Ddr. I berlinesi orientali volevano fortemente ricongiungersi con i fratelli occidentali, sognavano i prodotti alimentari e i beni di lusso tipici dell’ovest e desideravano fare spesa nei supermercati. Secondo molti le cause principali della caduta del muro e della fine del sistema sovietico sono proprio nelle differenze radicali tra est e ovest di concepire l’economia e il libero mercato. Ma per riunire il popolo tedesco, da troppi anni diviso, era necessario da parte della nomenklatura sovietica un cambio di tendenza, una riforma concreta che soltanto Michail Gorbaciov, ribattezzato “Gorby”, fu in grado di attuare. Perestrojka e Glasnost furono gli imperativi categorici. La prima mirava alla ristrutturazione economica e ad una accelerazione dello sviluppo economico, la seconda era finalizzata all’apertura del dibattito politico e quindi al riconoscimento di libertà fondamentali da sempre negate. In poco tempo l’impero sovietico cominciò a sgretolarsi e la caduta del muro di Berlino decretò inevitabilmente la fine dell’Unione sovietica.

L’importanza del ruolo di Gorbaciov in quanto riformatore la si può apprezzare a partire proprio dal 1989, quando egli, seppur da una posizione di minoranza, si rifiutò di continuare a percorrere la strada della guerra fredda, di utilizzare la forza per definire i rapporti con i paesi dell’Europa orientale e di opporsi all’unificazione della Germania. Fu questo risoluto rifiuto dell’uso della forza a permettere al cancelliere Helmut Kohl, con l’appoggio del governo statunitense di sfruttare le circostanze, divenute improvvisamente favorevoli, per realizzare il principale obiettivo della politica estera di Bonn. Così la divisione della Germania si rivelò d’un tratto superabile. Al cospetto della forte volontà politica dimostrata dal cancelliere tedesco Kohl e dal presidente statunitense Bush, ma ancor più dalla popolazione della Germania orientale, di porre fine alla divisione della Germania, di abbattere il muro di Berlino per uscire dal fallimentare campo socialista, Gorbaciov prese la decisione più importante di tutta la sua politica estera: cedere davanti alla volontà popolare e lasciare la popolazione della Germania orientale libera di scegliere il suo futuro. Egli in tal modo sfidò le certezze dei politici e dei diplomatici dell’Europa occidentale, basate sulla difesa ferrea dello status quo della divisione dell’Europa e della Germania e sull’intangibilità degli accordi di Yalta. Sfidò anche influenti leader del suo stesso campo. L’irriducibile Erich Honecker, segretario generale del comitato centrale della DDR, infatti aveva preso le distanze in modo teatrale dal corso della perestrojka e con un famigerato gesto aveva approvato la strage consumatasi a Pechino in piazza Tienanmen avvenuta nel giugno 1989.

Durante la visita a Berlino Est, il 6 e 7 ottobre 1989, Gorbaciov ammonì Honecker affermandogli che chi arriva tardi viene punito dalla vita. Inoltre gli comunicò che l’esercito sovietico non sarebbe intervenuto per aiutare il regime. Le truppe sovietiche ricevettero l’ordine di astenersi da qualsiasi azione repressiva contro i dimostranti. E il 9 novembre 1989 il muro cadde. Si possono avere pareri differenti ed anche fortemente scettici sull’opera complessiva di Gorbaciov ma non gli si può certo negare il merito enorme di aver riformato la politica estera sovietica quando questo mutamento risultava tutt’altro che scontato. Se il presidente dell’Urss avesse agito diversamente, il governo di Honecker non avrebbe esitato ad organizzare una nuova Tienanmen nel cuore dell’Europa, prolungando così al prezzo di migliaia di vite umane l’agonia del blocco sovietico. La grandezza di Michail Gorbaciov e il suo diritto a un posto d’onore nella storia del XX secolo risiedono proprio nella sua decisione di rifiutare l’aiuto militare a quei leader come Honecker o Ceausescu, che venivano assediati dai loro stessi popoli desiderosi di libertà.

E’ così che crollò definitivamente il regime sovietico. Un dittatura sanguinaria che nel corso degli anni ha mietuto milioni di vittime e che ha generato problemi di carattere socioeconomico a gran parte degli stati che oggi compongono la nostra Unione europea.