Brusca è libero, il capomafia azionò il telecomando nella strage di Capaci

Il boss mafioso Giovanni Brusca da oggi è un uomo libero dopo 25 anni di carcere di cui gli ultimi 4 in libertà vigilata. Il boss di San Giuseppe Iato che azionò il telecomando il 23 maggio del 1992 nella strage di Capaci ha finito di scontare il suo debito con la giustizia. Brusca dopo l’arresto decise di pentirsi. Questo gli ha permesso di ottenere un enorme sconto di pena. E da oggi è un uomo libero. «Il ritorno in libertà di Giovanni Brusca ci amareggia molto, moltissimo. Questa non è giustizia per i familiari delle vittime della strage di Capaci e di tutte le altre vittime. Lo so che è stata applicata la legge ma è come se non fosse mai successo niente…», commenta Tina Montinaro, la vedova del capo scorta di Giovanni Falcone, Antonio Montinaro, morto nella strage di Capaci insieme con due colleghi e con il giudice e la moglie. «Sì, è vero, ha iniziato a collaborare con la giustizia- continua Montinaro – ma non bisogna assolutamente dimenticare che anche i collaboratori sono dei criminali. Non sono diventate persone per bene E noi familiari delle vittime in questo modo non ci sentiamo rispettati». Poi aggiunge: «Io mi aspetto, visto quello che è successo il 23 maggio, con le polemiche sul minuto di silenzio anticipato, che i palermitani scendano tutti in piazza. Che la società civile si faccia sentire. Non è solo un problema dei familiari delle vittime di mafia ma che riguarda tutti quanti, insomma mi aspetto una presa di posizione forte da tutti i palermitani».
Ha commentato anche  Giuseppe Costanza, l’autista del giudice Giovanni Falcone, sopravvissuto alla strage del 23 maggio 1992: «Cosa posso dire davanti a una notizia del genere? Verrebbe da dire che la legge oggi non è per le persone oneste. Giovanni Brusca che ha sulla coscienza decine di morti, oltre alle vittime della strage di Capaci, è ora un uomo libero a tutti gli effetti. Mentre le sue vittime sono sotto terra e lo saranno per sempre». E ancora: «La libertà la danno solo agli attentatori e a coloro che sono morti no? E’ vero, la legge va applicata – dice Costanza – ma quando ci sono stragi con tante persone uccise, ci dovrebbero essere giudici più consapevoli, non così. Perché non è corretto che lui sia un uomo libero».  Poi aggiunge: «Provo sconforto più che amarezza, la legge non è più le persone oneste. Questa è gente che non dovrebbe più uscire dal carcere. E’ sotto protezione e chissà che ha un anche un vitalizio. Viva l’italia».
Giovanni Brusca, conosciuto come il «macellaio» di San Giuseppe Jato, è uno dei personaggi più sanguinari e discussi dell’epoca delle stragi mafiose in Italia. Nato nel 1957, Brusca è stato protagonista di uno dei crimini più efferati della storia recente: fu lui, secondo le sentenze, a premere il telecomando che il 23 maggio 1992 fece esplodere il tratto di autostrada a Capaci, provocando la morte del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e di tre agenti della scorta. Cresciuto all’ombra dei Corleonesi di Totò Riina, Brusca ha ammesso di aver partecipato o ordinato personalmente oltre centocinquanta omicidi, tra cui il sequestro e l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un collaboratore di giustizia: il ragazzo, rapito a 13 anni, fu strangolato e poi sciolto nell’acido dopo una lunga prigionia. Dopo anni di latitanza, Brusca fu arrestato nel 1996. Inizialmente tentò un falso pentimento, poi scelse davvero di collaborare con la giustizia, fornendo dettagli cruciali su decenni di omicidi e sulle dinamiche interne a Cosa Nostra. La sua collaborazione, determinante per numerose indagini. corriere.it