Brusca chiede scusa ai familiari delle vittime, ecco le immagini mai viste «La mafia è una fabbrica di morte»

«Chiedo scusa, perdono, a tutti i familiari delle vittime a cui ho provocato tanto dolore e tanto dispiacere».

Con queste parole, cinque anni fa — dopo venti di detenzione e di collaborazione con la giustizia — Giovanni Brusca (oggi 64enne) cominciò una lunga intervista con il regista-documentarista francese Mosco Levi Bocault, che stava realizzando il film «Corleone», una produzione di Arte France e Zek, presentato al festival di Roma nel 2018. 

Nel film ci sono le immagini e le voci di pentiti di mafia, investigatori antimafia e testimoni della stagione di sangue e di terrore scatenata dalla cosca di Totò Riina.

Tra quelle testimonianze spicca quella di Giovanni Brusca, registrato per alcune ore in una sala colloqui del carcere romano di Rebibbia, dove l’esecutore materiale della strage di Capaci si presentò bardato per non essere riconoscibile, ma con la sua voce inconfondibile già tante volte ascoltata nei processi di mafia. 

Davanti alla telecamera il killer di fiducia di Riina raccontò la sua affiliazione a Cosa nostra, i principi dell’organizzazione mafiosa, i delitti a cui ha assistito e quelli che ha commesso, compresi quelli per i quali è diventato famoso in tutto il mondo: l’eccidio in cui morirono Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, e l’omicidio di Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santo Di Matteo. 

Ma prima di cominciare a svelare i segreti di Cosa nostra e della sua vita di assassino e collaboratore di giustizia, Brusca volle fare una dichiarazione preliminare per chiedere perdono ai parenti delle tante vittime che ha sulla coscienza; e colse l’occasione per scusarsi anche con la donna che all’epoca era ancora sua moglie e con il figlio, per la doppia scelta che ha segnato la propria esistenza e quella della sua famiglia: prima mafioso e poi pentito.

«Quella di collaborare con la giustizia è una scelta sempre denigrata — spiegò — ma è giusta perché serve a mettere fine a quella fabbrica di morte che si chiama Cosa nostra». 

Il video con la richiesta di perdono — mai pubblicato, fino a questo momento — è finito agli atti del fascicolo del detenuto Brusca, per essere valutato dai giudici che nel tempo gli hanno accordato i permessi premio per uscire di tanto in tanto dal carcere, nonché i giorni di liberazione anticipata che spettano ai reclusi che mantengono una buona condotta, ma gli hanno negato la detenzione domiciliare, tenendolo in cella fine della pena. corriere.it