I colori di Dhrami, la critica della prof.ssa Dalla Chiesa

di Giovanna dalla Chiesa*

Edmond Dhrami, come gli artisti di rilievo, ha attraversato la storia dell’arte della modernità attraverso le sue varie fasi, ma impressionismo e fauvismo, già negli Anni Novanta, sono per lui strumenti per una rilettura dell’energia spirituale che pervade il soggetto, sia esso figura, paesaggio o ambiente interno, che confina con una dimensione simbolica ai limiti dell’onirico. La trasparenza sgretola e sfrange i corpi, quasi una pittura su vetro, i tocchi di colore ne irrorano le vene sino a dilatarne la sostanza vitale. L’opera nel suo insieme è attraversata dal sentimento della memoria e del tempo nelle sgranature e nelle molecolarizzazioni del colore-luce, particolarmente nei Ritratti del padre e negli Autoritratti, dove è proprio dalla somma di grumi-pennellate distinti che si sviluppano campi energetici generali, intrecci e relazioni pulsanti. Dalle strutture geometriche o reticolari, dall’intreccio di piani rettilinei, o a mezzaluna, che sottolineano la tendenza a riaggregrarsi, lentamente abbandonando la riconoscibilità di forme e figure, l’artista polverizza progressivamente la superficie, dove granelli di colore come grammi, o atomi di Iuce, si depositano e scivolano sino a smaterializzarsi in nubi, vapori, dissolvenze atmosferiche. Queste evaporazioni, tuttavia, preludono ad un nuovo faccia a faccia tra la materia e l’aria, tra la luce e lo spazio, mettendoci ora al centro di un’ulteriore trasformazione, la più personale e significativa, sulla base di un approfondimento sistematico di quei presupposti. La materia colore, scalpellata intorno a fili invisibili che ne reggono la trama, si lascia considerare nei movimenti che la formano a tutto campo, sia nella confidenza di una prossimità tangibile che nella lontananza di uno sguardo potenzialmente volto verso l’infinito, che può attraversarla in trasparente distanza.

Grumi di luce che vibrano come onde nel loro frangersi e si condensano momentaneamente nello spazio dinanzi ai nostri occhi, formano una scrittura cosmica, intensa e artisticamente molto inedita, trasformando la pittura in una tessitura scolpita da gemme di colore, che superano ogni limite tra tatto e vista, pittura e scultura. La perfezione molecolare di ogni grumo, colto nel suo dinamismo, la lucentezza del colore, che non si impasta con il fondo, raggiungono così un’intensità straordinaria, consentendo allo spettatore di godere ogni attimo in cui la pittura si manifesta nella pienezza fisica del suo corpo e del suo stendersi in un incalzante divenire. La luce e l’atmosfera reale giocano e si intrecciano con il lavoro di un pennello che è simile ad uno scalpello cosmico, ad un’arpa che sintetizza nella vibrazione deIIe sue corde il condensarsi dell’energia in suono, ovvero dell’energia nella materia-colore. E come la forma dello strumento predispone la modulazione sonora, particolare importanza assume, allora, per l’artista, la costruzione di spatole, sagome e forme di cui si serve per stamparestrappare il suo colore. Come lettere geroglifiche di un misterioso alfabeto che include anche il profilo dello stesso artista, in bassorilievo o a tutto tondo, questi strumenti estraggono dall’immensità indistinta, tracce di senso, direzioni andamentali, o proferiscono le sillabe di un linguaggio la cui sigla è la bellezza e la pienezza del colore-luce, in una gemmazione che infinitamente si ripete e si trasforma, simile allo spettacolo del perenne rigenerarsi e struggersi delle forme della natura cui assistiamo in libertà, come da un caleidoscopio magico, tuttavia, che l’artista ha predisposto per noi.

* Giovanna Dalla Chiesa è storico e critico d’arte. Si è laureata in Storia dell’Arte con una tesi innovativa su Calder all’Università di Roma con G.C. Argan e ha lavorato, in seguito, con Palma Bucarelli presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Vincitrice di una prestigiosa Borsa dell’American Council of Learned Societies nel 1976 è stata affiliata per un anno presso il M.O.M.A di New York, dove ha arricchito le proprie conoscenze. In seguito, i suoi studi su de Chirico di cui è autorevole esperta, l’hanno condotta in svariati centri europei: Parigi, Monaco di Baviera, Atene e Berlino. Ha curato importanti mostre monografiche in sedi pubbliche: Ca’ Pesaro, Palazzo delle Esposizioni, Palazzo Pitti, Ala Napoleonica del Museo Correr, Accademia di Francia. E’ stata docente di Storia dell’Arte dell’Accademia di Belle Arti di Roma.