Emergenza, non lasciamo indietro nessuno per ripartire tutti più forti

di Lucia De Carolis

Natura, per la cultura greca antica, era tutto ciò che nasce da sé, non per opera umana o divina, inserita quindi in un eterno moto ciclico. La mortalità divenne il marchio distintivo dell’essere umano che emerge da tutto il resto del creato per il suo corso rettilineo: taglia, attraversando, i ricorsi circolari dell’esistenza biologica. L’uomo, nel perseguire i propri fini, dissoda la terra, costringe il vento nelle vele, imbriglia le acque nelle pale dei mulini. Si inventa, interrompendo un moto privo di scopo e racchiuso in se stesso.

Non è dato all’uomo di vivere senza agire e l’azione prevede una scelta, motivo per cui il filosofo Martin Heidegger pensa la condizione umana nell’angoscia, quell’unico stato emotivo che non ha riferimenti; gioia, paura, commozione sono sentimenti che emergono per qualcosa, l’angoscia è al contrario un sentirsi la terra sprofondare sotto i piedi, cadere senza trovare appigli. Si esce da questo stato quando la si razionalizza e si scopre un’opportunità di scelta, trovando ad esempio un nemico temibile contro cui agire. Se si realizza che il nemico è un essere invisibile, un virus, allora la propensione dell’uomo all’azione, quel suo tagliare la storia attraverso i propri atti, viene meno e c’è il rischio di chiudersi in una quarantena che non dà scampo. Penso alle tante famiglie che vivono, specie nel sud d’Italia, di lavoro nero; nessuna certificazione per loro può essere validata. Sono costretti a casa, ma per quanto  tempo riusciranno ancora a provvedere ai propri bisogni, la farina finisce e neppure il pane si potrà più fare da sé.

Bisogna farsi venire un’idea e trasformare questo flagello in una preziosa occasione per rivedere il nostro vivere nelle fondamenta, compresa la nostra economia. Non possiamo aspettare gli aiuti dall’alto, anche quelli potrebbero finire. Questa emergenza ci fornisce una lente di ingrandimento particolare e molte associazioni di volontariato si stanno muovendo a livello locale in soccorso alle fasce più deboli, ma non è abbastanza. Sono le amministrazioni che devono farsi promotrici, non si può lasciare alla volontà del singolo mosso a carità; devono divenire il cardine, un motore a trazione attorno al quale la società civile si muove. Ora per far fronte all’emergenza, e con l’occasione solcare, progettando, un nuovo sistema economico a portata nostra. 

Ora, comuni e circoscrizioni nelle grandi città potrebbero provvedere alla raccolta e distruzione di beni di prima necessità. Chi ne usufruirà potrebbe fornire in cambio mano d’opera per lavori socialmente utili, assicurando servizi per i bisogni dettati dall’epidemia. Ci si potrà ad esempio rendere disponibili a portare i medicinali a coloro che sono in mobilità ridotta, sanificare strade e luoghi pubblici, e tutto ciò di cui la situazione abbisogna e per cui non c’è personale a sufficienza. Credo che il sentirsi utili possa intanto avere un effetto catartico, anziché aspettare inattivi nella speranza di ottenere un buono pasto; la dignità della persona sarebbe preservata e farebbe nascere un sano orgoglio.

Per quel che riguarda il futuro penso ad una sorta di “economia di corte” nel senso che ci viene nitidamente offerta l’occasione di focalizzare l’attenzione sulle micro realtà locali, una lente di ingrandimento d’eccezione, partiamo da qui, non dall’economia su larga scala, non ora. Concentriamoci su soluzioni locali sorrette dalle amministrazioni con fondi regionali a lungo termine, un piano particolareggiato che ogni Regione e Provincia può e deve elaborare per affidare compiti precisi ai singoli Comuni. In qualche anno sarà il manifatturiero, il turismo…, secondo la vocazione più propria di ogni Comune, a creare reddito per riattivare un mercato da reinventare.

Entra qui in gioco la memoria, la sola che riesce a rendere immortale l’uomo e per la quale nacquero i grandi racconti che scrissero la storia: solo quando Ulisse, arrivato alla corte dei Feaci, cominciò a narrare la sua storia, le sue gesta divennero immortali. L’Italia ha una grande tradizione da ricordare, l’artigianato italiano non ha eguali nel mondo. Dobbiamo tornare nella memoria per portare al presente le abilità dei nostri nonni, tornare a utilizzare le mani, e produrre ad esempio scarpe, il cui cuoio potrebbe essere fornito da una conceria centralizzata nella propria Regione (o intanto attinto da molto lontano), e attraverso una App dedicata che consenta di prendere la misura esatta del piede che dovrà essere calzato, scaricabile su un’utenza attiva dall’altra parte del mondo, vendere la propria opera commercializzata su E-Commerce.

Stoffe tessute a mano e trasformate in capi di abbigliamento, meravigliosi canestri intrecciati a mano. Idee, idee, idee. L’artigianato riscoperto deve servirsi della tecnologia di cui già disponiamo, deve coniugare la memoria del passato, la modernità presente, per poter progettare le scelte future. Dobbiamo muoverci tutti, il più piccolo di noi è chiamato in questo momento ad uscire dal proprio isolamento e guardare oltre le proprie mura di casa, certo che le Istituzioni agevoleranno ogni suo passo, concordato e ben progettato. Non lasciamo indietro nessuno per ripartire tutti più forti.